Ita: operazione riuscita, ma il paziente è morto
Con l’ultimo volo serale tra Cagliari e Roma si sono conclusi giovedì i 74 anni di storia di Alitalia, dei quali gli ultimi 20 particolarmente travagliati, tra crisi periodiche, ridimensionamenti successivi e continue perdite di bilancio. Ieri mattina, col primo volo tra Linate e Bari è invece decollata Ita, la nuova compagnia a totale capitale pubblico che prende il posto di Alitalia, ma è grande meno della metà e ha imbarcato meno di un quarto dei dipendenti della vecchia azienda. Al momento nessuno sa dove sia diretta, da un punto di vista industriale e strategico. In realtà un viaggiatore che si fosse imbarcato sia sull’ultimo volo di Alitalia che sul primo di Ita, senza essere informato del passaggio d’azienda, non si sarebbe accorto assolutamente di nulla. Infatti, nella giornata di ieri equipaggi Alitalia in divisa Alitalia sono saliti a bordo di aerei Alitalia e hanno volato, avvalendosi dell’organizzazione di Alitalia, per trasportare passeggeri che si sono prenotati nelle scorse settimane su un sito Alitalia.
In sostanza per ora nulla di nuovo e di diverso nei cieli italiani a parte il punto di vista della Commissione europea che ha imposto i paletti alla neonata azienda e ha valutato nelle parole del Commissario alla concorrenza, Vestager, dello scorso 10 settembre che “l’Italia ha dimostrato che c’è una netta rottura tra Alitalia e la nuova compagnia aerea Ita, e che il suo investimento in Ita è in linea con i termini che un investitore privato avrebbe accettato”. Per Vestager si tratta dunque di un investimento che si rivelerà profittevole per lo Stato italiano, che vi ha stanziato 3 miliardi, di cui 1,35 autorizzati e 700 milioni già erogati. È un ottimismo da far impallidire il Candido di Voltaire e piuttosto inusuale se si considera che il recente conferimento pubblico, in quanto valutato come operazione di mercato, non è considerato aiuto di Stato, mentre lo fu nella seconda metà degli anni 90 la ricapitalizzazione pubblica dell’Alitalia di allora, guidata da Domenico Cempella il quale poi, dopo diversi anni consecutivi di utili, fu in grado di portarli effettivamente a casa. Può darsi che Vestager abbia esaurito tutta la sua riserva di rigore con la vecchia Alitalia, a cui ha centellinato anche i rimborsi Covid, e non gliene sia rimasta più per la neonata Ita. Oppure può darsi che sia una dei pochi a conoscere la vera destinazione finale di Ita e che la ritenga coerente con un disegno di ricomposizione dei cieli europei che la Commissione sembra tenacemente perseguire dall’inizio degli anni 2000, quando il Commissario ai trasporti De Palacio disse che con la liberalizzazione sarebbero sopravvissuti solo pochi grandi vettori e, tra questi, l’Italia non era prevista.
Si spiegherebbero allora contemporaneamente tre cose. In primo luogo le piccolissime dimensioni di Ita, di poco maggiori rispetto a quelle del vecchio vettore regionale Meridiana, da poco liquidato dopo la sua trasformazione in Air Italy. Ita parte infatti con soli 52 aerei, di cui solo sette di lungo raggio, e con 2.800 dipendenti, peraltro insoddisfatti per i consistenti tagli retributivi subiti rispetto ad Alitalia, per le condizioni di ingaggio e per le modalità di reclutamento. Qualche numero per illustrare l’ampiezza del declino del vettore nazionale: la flotta della vecchia Alitalia superò i 52 aerei nel lontano 1962, l’anno successivo all’inaugurazione dell’aeroporto di Fiumicino, e superò i 2.800 dipendenti nel 1957, quando incorporò l’altra azienda pubblica di trasporto aereo, la Lai. Sempre nel 1957 Alitalia aveva in flotta ben 13 aerei di lungo raggio, contro i sette del debutto di Ita che già alla nascita detiene un record da Guinness dei primati tra tutti i vettori mondiali di tipo tradizionale: ha più consiglieri di amministrazione, ben 9, che aerei di lungo raggio, solo 7. In secondo luogo si spiegherebbe lo spezzatino europeo che l’ha privata del ramo handling e del ramo manutenzioni, rimasti alla vecchia amministrazione straordinaria in attesa di gare per la loro cessione separata. E in terzo luogo spiegherebbe lo spostamento del baricentro dei voli da Fiumicino a Linate, attuato concentrando su Roma quasi tutto il ridimensionamento rispetto ad Alitalia e salvaguardando quasi integralmente Milano.
A chi serve un vettore piccolo, di solo volo, con base a Milano e pochissimo presente sul lungo raggio? Pensando male, ma rischiando di indovinare, la risposta è che serve a inoltrare i passeggeri della ricca area lombarda, ad alta disponibilità di spesa, verso un grande hub di un grande vettore europeo incluso nella lista europea dei salvati dalla liberalizzazione, così che possa poi trasportarli verso tutte le destinazioni mondiali. In tal caso la méta finale auspicata per Ita, ma non rivelata, è la città di Colonia, sede di Lufthansa.