Nel gioco dei Tre Imperi Erdogan chiama Putin
La crisi della Turchia la pagheranno, oltre ai turchi, anche gli europei. Non solo dal punto di vista economico e finanziario, perché l’Europa resta il maggiore partner commerciale di Ankara e le banche europee sono comunque le maggiori creditrici delle imprese turche. I costi saranno anche umani e politici. Il nocciolo della questione è che la Turchia oscilla spericolatamente tra Est e Ovest come nei momenti più turbolenti della sua storia.
Il presidente con pieni poteri Erdogan, custode di tre milioni profughi siriani, non solo vuole gli F-35 americani ma sfidando le sanzioni Usa a Mosca ha ordinato i missili S-400 di Putin e commissionato alla Russia la più grande centrale atomica mai progettata sulle sponde del Mediterraneo oltre a puntare al Turkish Stream, il gasdotto che con il nome di Southstream i russi volevano realizzare con Eni e Saipem, una pipeline fatta saltare da Bruxelles e da Washington dopo la crisi Ucraina e l’annessione della Crimea nel 2014.
E così c’è sempre una prima volta per essere sanzionati dall’America, come nel caso della Turchia, membro storico della Nato dagli anni Cinquanta che paga anche sui mercati la sua ribellione agli Usa.
In realtà tra Washington e Ankara dal luglio 2016, quando fallì il colpo di stato contro Erdogan, è in corso una sorta di guerra degli ostaggi. Gli Usa ospitano l’imam Fethullah Gülen. I turchi hanno ricevuto ripetuti dinieghi alla sua estradizione e ritengono che gli Usa abbiano tentato anche da loro un regime change.
Ankara da due anni ha messo in carceree poi ai domiciliari il pastore evangelico Andrew Brunson accusato di terrorismo e complicità con Gülen. Sono quindi stati sanzionati dagli Usa i ministri turchi dell’Interno e della Giustizia, sospese dal Senato le forniture dei caccia F-35 e ristretti i crediti delle istituzioni internazionali. Risultato: la lira turca, come del resto il rial iraniano, è ai minimi storici sul dollaro. Oggi il triangolo Russia-Turchia-Iran – decisivo per la questione siriana ma non solo – è costituito da Paesi nel mirino delle sanzioni americane. Se poi aggiungiamo i dazi alla Cina si capisce bene che è in atto una sorta di scontro tra gli Stati uniti e l’Eurasia.
Fino all’ascesa dell’Akp nel 2002 la Turchia è stata dominata dai laici e dai golpe dei militari poi è toccato ai tradizionalisti e ai religiosi. L’intuizione di Erdogan è stata quella di dare rappresentanza politica a questa Turchia diventata protagonista dell’economia con le Tigri anatoliche, le piccole e medie imprese esportatrici, il motore del boom economico ma anche quelle più indebitate. Debiti in dollari ed euro che con la drastica perdita di valore della lira turca costano sempre di più. Persino Erdogan ha dovuto piegarsi ad aumentare i tassi per far comprare i suoi bond sui mercati, pur continuando a tuonare contro le agenzie di rating e la “lobby dei tassi interesse”.
Eppure questo Paese sarebbe decisamente dell’orbita occidentale. In Turchia oggi ci sono 24 caserme Nato e i missili Usa puntati sia contro Mosca che contro Teheran, oltre alla base di Incirlik che i turchi concedono agli americani assai di malavoglia.
In realtà la Turchia è stata ipocritamente tenuta nella sala d’aspetto dell’Unione ben sapendo che né Berlino né Parigi avrebbero mai accettato il suo ingresso in Europa. Dal tentato golpe in avanti la Turchia ha dimostrato un evidente allontanamento dal mondo occidentale, soprattutto nel caso della guerra in Siria, costruendo invece proficue relazioni con la Russia e l’Iran. La Russia ha bisogno di un importante alleato come la Turchia per poter avere facile accesso al Mediterraneo, sia in termini commerciali che militari. E’ interessante sottolineare che Mosca e Teheran sono entrambe sotto sanzioni occidentali, questo significa che la Turchia diventa anche uno sbocco per i loro affari.
E’ l’antico gioco dei Tre Imperi, russo ottomano e persiano: hanno combattuto tra loro per secoli ma possono darsi una mano quando serve. L’avvicinamento alla Russia e all’Iran potrebbe in futuro allontanare Ankara dalla Nato, per entrare a tutti gli effetti in una opposta coalizione regionale, pur restando tatticamente agganciata all’Alleanza e all’Europa.
Lo dimostra la guerra siriana. In un primo momento la Turchia si opponeva alla permanenza di Assad al potere, spingendo per la sua destituzione, poi ha cambiato posizione trovandosi a fianco di Russia ed Iran pur di eliminare un embrione di stato curdo. Ma se Assad comincia l’offensiva contro Idlib, dove sono insediati decine di migliaia di jihadisti, il fronte siriano si incendierà ancora e arriveranno altri rifugiati che avranno una sola via di fuga: il Nord e la Turchia. E allora la Turchia tra Oriente e Occidente sceglierà un’unica strada: quella della sicurezza e della sopravvivenza.