Fino a quando la Bce potrà salvare il debito italiano?
Per far fronte ai costi sanitari ed economici della pandemia, il Tesoro si avvia a emettere titoli per circa 550 miliardi. Prima dell’esplodere del coronavirus, il cronoprogramma delle emissioni prevedeva un totale di circa 400 miliardi.
Impennata inevitabile, ma gestibile se lo spread non risale a livelli di guardia, garantito per gran parte dal programma straordinario di acquisti messo in atto dalla Bce, che tra i vari strumenti in campo si attesta nei dintorni dei 1.000 miliardi per l’intera eurozona. Solo per l’Italia, l’operazione di acquisto dei bond sul mercato secondario si aggira attorno ai 220 miliardi.
Il bazooka della Bce assicura la solvibilità del debito
In sostanza, l’ombrello della Bce pare in grado di garantire un costo di finanziamento del debito a tassi contenuti. Se lo spread scendesse in modo costante attorno ai 150 punti base, lo scenario sarebbe ancor più rassicurante. Al momento, stante l’attuale livello dello spread (nei dintorni dei 250 punti base) la spesa in conto interessi salirà dal 3,3% del Pil previsto nello scenario precedente all’esplodere della pandemia al 3,7% sia nel 2020 che nel 2021, quando il debito si attesterà al 152,7% del Pil.
In termini assoluti, occorre impegnare 66 miliardi sia quest’anno che il prossimo in termini di spesa per interessi. A conti fatti, si tratta di un onere aggiuntivo rispetto allo scenario dell’ultima Nota di aggiornamento del Def, di 6,6 miliardi quest’anno e di 10,2 miliardi nel 2021.
L’ombrello della Bce prima o poi verrà meno
Il problema, con un’impennata del debito di tale entità, riguarda non tanto l’immediato quanto il medio-lungo periodo. Perché le “misure non convenzionali” avviate dalla Bce sotto la presidenza di Mario Draghi e ora sotto la guida di Christine Lagarde non potranno proseguire all’infinito. Vanno valutati gli effetti della sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha puntato il dito sull’aspetto relativo alla “proporzionalità” del programma di acquisto dei bond sovrani avviato a partire dal 2015 (il Quantitative easing).
In poche parole, secondo i giudici dell’Alta Corte di Karlsruhe, pur non ledendo il divieto di monetizzazione del debito, i circa 2.600 miliardi di acquisti decisi dalla Bce hanno «rilevanti conseguenze di politica economica». Da qui la richiesta a Francoforte di dimostrare entro tre mesi che al contrario quel volume di acquisti fosse pienamente motivato e proporzionale. Un pronunciamento discutibile sul piano sostanziale, cui la Bce replicherà nelle prossime settimane. Ma anche al di la dell’esito del contenzioso aperto dalla Consulta tedesca, il tema che fin d’ora è opportuno affrontare è cosa accadrà quando il bazooka di Francoforte comincerà a ridursi fino poi a cessare.
La Bce solitaria e i destini finanziari dell’eurozona
E qui entra (o dovrebbe entrare) in gioco la politica, poiché aveva ragione Draghi e ora ha ragione Christine Lagarde: non può essere la sola Bce a governare i destini finanziari dell’eurozona. Ecco perché, dopo le decisioni senza precedenti assunte dalla Commissione europea (il Meccanismo europeo di stabilità senza condizionalità per gli aiuti diretti a far fronte alla pandemia, la sospensione del Patto di stabilità, il Fondo Sure da 100 miliardi contro la disoccupazione, le nuove e più flessibili regole in materia di aiuti di Stato e di fondi strutturali), e dopo le iniziative in arrivo dalla Bei per circa 200 miliardi, ora va messo in campo sulla base delle nuove proposte che avanzerà tra breve la stessa Commissione, il “piano per la ricostruzione” con un trasparente ed efficace meccanismo di finanziamento per un potenza di fuoco non inferiore ai 500 miliardi.
Il debito si abbatte con la crescita
Se l’intero set di interventi europei riuscirà effettivamente a decollare, ne potrà trarre giovamento la finanza pubblica ma anche l’economia reale. E qui entra in gioco il tema, molto dibattuto in Italia e non solo, sull’effettivo peso delle riforme strutturali per spingere sul pedale della crescita. La teoria economica, al pari degli studi condotti in sede internazionale (a partire dall’Ocse) ci dicono che le riforme strutturali (fisco, amministrazione pubblica, giustizia civile, liberalizzazioni) se ben condotte, ben finanziate e implementate possono aver nel medio periodo un ruolo determinante nel sostenere la crescita. Accanto a un robusto piano di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali. É esattamente quel che il nostro paese dovrà fare già nell’immediato e con la prossima legge di Bilancio.
Occorre un secondo “miracolo economico”
In poche parole, quando il bazooka della Bce comincerà a venir meno, occorre poter contare su un’economia che cresce a ritmi sostenuti, non più a suon degli “zero virgola” del periodo anteriore alla pandemia. Certo, ora con il Pil che quest’anno subirà una contrazione stimata tra l’8 e il 10%, il deficit e il debito non potranno che impennarsi. Passata l’emergenza, e anche grazie alle riforme che occorrerà mettere in atto, la crescita dovrà raggiungere livelli tali da assicurare che il debito cominci a ridursi “in automatico”.
Nella storia del nostro paese, tra la metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta del secolo scorso, si sono registrati tassi di crescita del 5, 6 e anche 7-8%. Sono gli anni del “miracolo economico”. Ora occorre un “secondo miracolo economico”, e ancora una volta (come nel secondo dopoguerra), l’intero paese è chiamato a uno scatto decisivo. In caso contrario, il declino sarà inarrestabile con conseguenze gravissime in termini economici e sociali.