mercoledì 23 Ottobre 2024
Africa

Il collasso sanitario dell’Africa: fino a 3 milioni potrebbero morire

L’Africa è il prossimo spavento. E, più che per ovvie ragioni umanitarie, l’Europa dovrebbe occuparsene per motivi di autotutela. Le sue prospettive all’impatto col Covid-19 rendono plausibile una strage nella popolazione, giovane ma già fiaccata da piaghe endemiche come tubercolosi e Aids: si paventano dai 300 mila ai tre milioni e 300 mila morti, «a seconda delle misure prese per fermare il contagio», hanno scritto ad aprile le Nazioni Unite; 22 milioni di malati potrebbero aver bisogno di ricovero in ospedale e, di essi, oltre 4 milioni necessitare di (quasi inesistenti) terapie intensive; 20 milioni di posti di lavoro possono svanire (in un contesto dove occorreva crearne 20 milioni in più); altri 29 milioni di persone rischiano la povertà assoluta.

 

Se i dati essenziali di questo temuto collasso sanitario ed economico diventassero realtà, il continente africano potrebbe determinare di riflesso due eventi assai gravi per l’Europa: potrebbe diventare la sponda contro cui il virus «rimbalza» come una palla da biliardo, per tornare a circolare tra noi che ci pensiamo salvi; e potrebbe costituire la piattaforma per il più potente e disperato flusso migratorio cui abbiamo mai assistito dai tempi della guerra in Siria.

 

Il triste paradosso è che l’Europa ha margini assai stretti di manovra: ha già dentro i suoi confini problemi enormi, ha bisogno di almeno mille miliardi da destinare alla lotta contro la pandemia e si dibatte tra regole asfittiche. I Paesi dell’Unione che più fortemente hanno bisogno di essere sostenuti sono quelli meridionali: proprio gli stessi che costituirebbero la prima linea nelle conseguenze della tragedia africana.

 

Finora abbiamo quasi fatto finta di niente. E i numeri ufficiali ci hanno aiutato: al 20 aprile i malati accertati di Covid-19 in tutta l’Africa erano 21 mila, a fronte di una popolazione di poco meno di un miliardo e mezzo di persone. Statisticamente, inezie. Purtroppo, la peculiarità del caso africano consiste nella sua insondabilità. Mancano presidi sanitari e test seri, pretendere di seguire il reale sviluppo della pandemia è illusorio: ma l’Africa Center for Strategic Studies parla di un contagio che cresce del 25% al giorno in 47 Paesi.

 

La strategia

 

Il G20 ha sospeso il debito pubblico a 40 Paesi ma l’Ue dovrebbe essere più coraggiosa

 

Il raffronto coi dati di contesto è inquietante. «L’Africa può guardare ai Paesi già avanti nelle traiettorie del loro Covid-19 per possibili scenari. Ma le particolarità del contesto africano e le vulnerabilità che ne inibiscono la risposta porteranno probabilmente a impatti molto diversi», ammonisce l’Uneca, la Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite che ha diffuso un rapporto previsionale agghiacciante.

 

Sappiamo che il Covid-19 circola nelle città: ebbene, circa 600 milioni di africani vivono in aree urbane. Sappiamo che la prima arma è il «distanziamento sociale»: ma il 56% di essi (Nordafrica escluso) sta ammassato in slum e baracche. Siamo convinti che i bambini siano meno sensibili al virus: ma il 40% dei bambini africani fino ai 5 anni è denutrito, dunque più esposto. Abbiamo imparato a lavarci le mani ossessivamente: ma il 36% delle abitazioni africane non ha acqua corrente e un altro 30% vi accede in modo limitato. Con un Pil in caduta fino al 2,6% (ma alcuni analisti prevedono un meno 5%), il prezzo del petrolio affossato (costituisce il 40% delle esportazioni africane), il turismo in ginocchio (pesa per il 38% sul Pil), le maggiori economie del continente (Sudafrica, Nigeria e Angola) in apnea, «i governi rischiano di perdere il controllo e di trovarsi a fronteggiare moti e rivolte», prevede l’Uneca. Non è difficile immaginare quale sarebbe l’effetto di quelle rivolte sui flussi migratori.

 

Servono subito 100 miliardi di stimolo fiscale e altrettanti per gli interventi sanitari. Serve incidere sul debito africano, come chiedono le Nazioni Unite: «Due anni di moratoria per consentire spazio fiscale ai Paesi che accusano perdite pesanti». Di qui, appelli a Banca Mondiale, Fmi, G20, Unione Europea. Il G20 ha sospeso fino a fine anno il rimborso del debito pubblico dei 76 Paesi più poveri del mondo (tra essi 40 africani). L’Unione dovrebbe fare un passo più coraggioso. A gennaio il problema si ripresenterà aggravato dagli effetti del Covid-19. Le ristrutturazioni del debito sull’Africa si sono già tentate nel 1996 e nel 2005 (con un risparmio a regime di 99 miliardi di dollari). Ma la pessima leadership di molti governi africani ne ha provocato una risalita velocissima e ora 116 miliardi di dollari di bond sono in mano a privati e 150 in mani cinesi: la partita non è più solo dei Paesi occidentali. Tuttavia, è ad essi che tocca giocarla. E a noi europei ben più che agli americani, per banali ragioni di assetto geopolitico. La «Nuova strategia con l’Africa» lanciata a marzo da Ursula von der Leyen (e basata su «transizione verde, trasformazione digitale, partnership per una crescita sostenibile nella pace e nella sicurezza») appare vecchia prima di nascere e oggi tragicamente velleitaria. Gli africani l’hanno praticamente ignorata sin dal momento della divulgazione. L’Africa davanti al Covid-19 mette in realtà l’Europa davanti a sé stessa. Urge intervenire su guerre e povertà in aiuto dei Paesi più deboli e lontani, ha detto al nostro Paolo Valentino l’alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, «o il virus tornerà a colpirci». «Bisogna interagire con la creatività che viene dal basso, sostenere le piccole e medie imprese che garantiscono l’80% dei posti di lavoro e non possono reggere al lockdown, e vanno accompagnate a evolvere le attività economiche informali, il 55% dell’economia sub-sahariana», sostengono organizzazioni non profit strutturate nella cooperazione come l’Avsi. Ma senza un esercito Ue e una politica estera comune, e dunque senza capacità di entrare nella partita africana usando tutte le opzioni possibili, quelli di noi europei saranno sempre più vaniloqui da circolo del golf: tra attempati signori timorosi che l’incendio fuori dal recinto si spinga fino a rovinare il loro green.