sabato 27 Luglio 2024
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L’arte non è al servizio degli oppressori

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Il teatro e la musica,
come tutta l’arte in genere, sono sempre stati nemici dei regimi
oppressivi perché le espressioni artistiche non possono, per loro
natura, subire condizionamenti dettati da ragioni nazionaliste o
peggio ancora razziste.

La storia ha tantissimi
esempi di attori, musicisti, poeti che si sono opposti ai vari
dittatori di turno.
Ancora oggi abbiamo esempi
di questi eroi (permettetemi il termine) che non si piegano anche a
costo di essere denigrati o emarginati.
E’ il caso recentissimo
degli attori, attrici, autori e registi (una quarantina) che
rifiutano di esibirsi nel «Palazzo della Cultura» di Ariel, la
seconda per grandezza delle colonie ebraiche costruite da Israele
nella Cisgiordania palestinese sotto occupazione militare.
La rivolta è partita da
Shmuel Hasfari, un attore ed autore schierato contro l’occupazione,
e ieri si è materializzata in una lettera aperta firmata da una
quarantina di artisti che escludono di poter mettere la loro arte al
servizio di israeliani che occupano terre palestinesi. Fra i
firmatari della lettera aperta vi sono alcuni nomi importanti del
teatro israeliano: quello dell’attrice Einat Weizman, dei registi
Rina Yerushalmi e Moti Lerner e degli autori Yehoshua Sobol e Savion
Lebrecht

Gli attacchi a questi
artisti non si sono fatti attendere. I mezzi di informazione
israeliani (ad eccezione di Haaretz) li hanno accusati pesantemente,
alcuni utilizzando il termine di “tradimento”.
Il problema è così
sentito che sulla vicenda è intervenuto persino il premier
israeliano Netanyahu che ha attaccato gli artisti refusenik. Anche la
ministra per l’istruzione Limor Livnat ha rivolto un appello alle
compagnie teatrali affinché non si lascino coinvolgere nella
protesta.
Non ultimi, diversi
deputati di destra hanno invocato il licenziamento degli attori non
allineati al pensiero dominante.