sabato 27 Luglio 2024
Politica italiana

I partiti rimasti al buio sulle scelte Ecco chi ha vinto e chi ha perso

ROMA È il primo caso di un metodo Cencelli non applicato dai partiti, ma dal premier. Per la prima volta i segretari non hanno potuto metter bocca, perlomeno nella decisione finale. Non è un governo solo tecnico, come temevano in molti, ma anzi ha visto la moltiplicazione dei ministeri politici (15 contro 8), per accontentare tutti. Non ci è riuscito, naturalmente, e sono quasi tutti scontenti. A partire dal Movimento 5 Stelle, ultimo dei partiti a commentare la nuova squadra. Qualche perplessità nel Pd, forte malumore in Forza Italia, che risorge da una lunga posizione di marginalità ma non ha ministri con portafoglio. Accontentato Matteo Renzi, che diceva di non puntare alle poltrone: gliene è rimasta solo una.

Appena arrivato l’annuncio, tra i parlamentari è scoppiato il finimondo. È vero che il Movimento ha la delegazione più numerosa, quattro ministri, con nomi tutti riconfermati. Ma non ha nessun ministero di spesa. Perde il Mise, che passa alla Lega, con Stefano Patuanelli che va all’Agricoltura. Vissuto come un demansionamento anche il passaggio di Fabiana Dadone dalla Pubblica amministrazione alle Politiche giovanili. Nel saldo positivo, Luigi Di Maio che resta agli Esteri e il ministero chiesto da Grillo per placare la base. Molti vedono con sospetto un presunto asse Fico-Draghi che avrebbe prodotto la riconferma di Federico D’Inca. Visto quasi come uno schiaffo la presenza del sottosegretario Roberto Garofoli, attaccato con durezza quando era capo di gabinetto del Mef. Luca Carabetta e Francesco Silvestri lo accusarono di conflitto d’interessi per «i legami con la Croce Rossa». Sgradita anche la presenza di Renato Brunetta.

Al Nazareno hanno tirato un sospiro di sollievo. Perché a lungo si era temuto, se i ministeri fossero stati solo due, di dover scegliere tra Lorenzo Guerini, Andrea Orlando e Dario Franceschini. Ovvero i gruppi parlamentari, il braccio destro di Nicola Zingaretti e il grande mediatore. Alla fine ci sono tutti e tre e con ruoli di peso: Difesa, Lavoro e Cultura. Franceschini perde il turismo, ma la vera perdita è quella del Mef. Via Gualtieri, che seppur considerato spesso troppo vicino a Conte, era pur sempre uomo del Pd. Incarico a rischio per Orlando, in una poltrona molto «calda» quando finirà il blocco dei licenziamenti.

Le segreterie

Per la prima volta i segretari non hanno potuto metter bocca nella decisione finale

Draghi ha accolto con abilità molte delle richieste di Matteo Salvini, che ha ottenuto un ministero di spesa importante (Mis), una roccaforte per il Carroccio (il Turismo) e una bandiera come il ministero per la Disabilità. Sul lato opposto della medaglia, che pesa molto di più: nessun salviniano è al governo. Erika Stefani è vicina a Luca Zaia, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia sono di area moderata. Area lontana da Salvini, anche dopo la sua recente svolta europeista. Altri motivi di scontentezza: la presenza di Luciana Lamorgese, che ha cancellato i decreti sicurezza, e di Roberto Speranza, con una linea considerata troppo prudente sulle riaperture.

Il terzo gruppo parlamentare con tre ministri, nessuno con il portafoglio, ha visto premiata l’ala che più ha sostenuto il governo di unità nazionale. «Forza Italia farà la sua parte», conferma Silvio Berlusconi con un messaggio su Facebook.

Il metodo

Nella formazione del governo a utilizzare il metodo Cencelli è stato il premier, non i leader

Leu riconferma il suo ministro, Roberto Speranza. Un successo, visto che era uno degli uomini più popolari del Conte II. Basterà per placare Sinistra italiana? Italia viva diventa di fatto invisibile: via Teresa Bellanova, resta solo Elena Bonetti alla Famiglia. Nessuno strapuntino per +Europa, che pure aveva in corsa l’ultra europeista Emma Bonino. Fuori Carlo Calenda, di Azione. C’è un altro partito, solo potenziale, che viene colpito. È quello dell’ex premier. Fuori i contiani come Gualtieri e dentro Vittorio Colao, che fu chiamato dall’ex premier e poi subito dimenticato.