domenica 22 Dicembre 2024
ArticoliArticoli 2010

Pena di morte

cappio.jpg
Navigando
con curiosità, come mi capita spesso, su un social network molto
frequentato e variopinto come Facebook, non ho potuto fare a meno di
notare che, per l’ennesima volta, si è scatenata la caccia
all’assassino di turno.

Ebbene
sì, su Facebook si parla anche di argomenti scottanti e profondi
come la giustizia; solo che, a ben guardare, essa prende più le
forme di una legge da far west che di una seria riflessione. Non che
mi aspetti un saggio di diritto penale o una argomentata discussione
etica, però qualcosa che vada oltre la “sacra” invocazione della
pena di morte per chi commette questi efferati (perché comunque di
tale gravità si tratta) delitti.
Vorrei
provare a fare una breve, ma soprattutto modesta (data la caratura di
chi scrive) riflessione sulla pena di morte.
Sui
197 Stati esistenti 96 sono abolizionisti, 8 abolizionisti solo per i
crimini ordinari, 44 sono abolizionisti di fatto (non eseguono
sentenze capitali da almeno 10 anni), 6 eseguono una moratoria sulle
esecuzioni e i restanti 43 sono convinti mantenitori (dati riferiti
al 30 giugno 2010). Tra questi ultimi troviamo i famosi casi di
democrazie liberali rappresentati, tra gli altri, dagli Stati Uniti,
dal Giappone, dall’India e da Taiwan. Perché un Paese dovrebbe
scegliere questa estrema soluzione come pena per i criminali? Avrebbe
davvero un effetto deterrente? Se così fosse gli Stati Uniti non
dovrebbero avere tassi di omicidio 3 volte e mezzo superiori a quelli
italiani (e stiamo parlando della civile democrazia esportata in giro
per il mondo)!
Ma
vorrei soffermarmi più sull’aspetto etico della questione, ovvero
la domanda è: davvero l’uomo è legittimato a togliere la vita ad
un altro uomo? La religione cristiana, a partire dal messaggio di
Gesù (“chi è senza peccato scagli la prima pietra”), dopo
secoli di esecuzioni, propende ora per l’abolizione della pena di
morte. Solo a Dio, infatti, è concesso il potere di disporre della
vita degli uomini.
Importanti
riflessioni furono fatte da Cesare Beccaria nel trattatoDei
delitti e delle pene
(1764), in cui si schierava contro tale
pratica. Egli trovava assurdo che lo Stato, per punire un delitto, si
trasformasse in omicida. In altre parole, quella stessa opinione
pubblica, di cui lo Stato è espressione, che detesta e punisce
l’omicidio ne commette uno a sua volta, per allontanare i cittadini
dall’assassinio ne ordina uno pubblico. Ma soprattutto sostiene che
la pena di morte, rendendo meno sacro e intoccabile il valore della
vita, incoraggerebbe, più che inibire, gli istinti omicidi.
Oggigiorno
un’altra motivazione poggia sul vero scopo della detenzione che,
non ci scordiamo, consiste nella redenzione del colpevole. Togliendo
la vita al reo gli è anche impedito rendersi utile alla comunità
cui ha arrecato danno o semplicemente gli viene privata la
possibilità di essere riabilitato socialmente.
Un
ultimo problema riguarda la possibilità di un eventuale, seppur
tardivo, scagionamento dell’imputato, possibilità esclusa in caso
di morte. Tra i molti errori giudiziari voglio ricordare la vicenda
di Rocco Derek Barnabei, la cui sentenza definitiva è avvolta da
molti sospetti, le cui eventuali conferme non lo riporterebbero
comunque in vita.