A Durban si discute dei cambiamenti climatici. Si discute… appunto!
Si è aperta lunedì 28
novembre a Durban (Sudafrica) la conferenza annuale delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici, che terminerà il 9 dicembre
prossimo. Ma questa conferenza non promette nulla di buono.
Nonostante le emissioni
serra siano cresciute del 38% tra il 1990 e il 2009 e nonostante i
climatologi avvertano che di questo passo l’aumento di temperatura
nel corso del secolo sarà devastante, alcuni paesi hanno già fatto
sapere che non intendono assumere ulteriori impegni.
Sarà molto difficile,
infatti, conciliare gli interessi delle potenze emergenti con quelli
dei Paesi già sviluppati, che tra l’altro si trovano a
fronteggiare una delle crisi economiche più gravi della storia.
Scioglimento dei ghiacci,
innalzamento del livello del mare, eventi meteorologici estremi,
perdita di biodiversità, difesa delle foreste, etc… non sembrano
essere temi che di interesse per i rappresentanti e i cittadini del
nostro pianeta.
Eppure, la situazione
richiede un intervento deciso e rapidissimo. Per evitare che gli
effetti del global warming (di cui gli italiani hanno appena avuto
qualche saggio in Liguria e a Messina) diventino ancora più
devastanti, è necessario contenere l’aumento medio della
temperatura atmosferica entro i 2 gradi centigradi. Si tratta di una
soglia di non ritorno che in realtà appare fin troppo vicina, dal
momento che la temperatura globale è già aumentata di 0,8 gradi
rispetto all’era preindustriale.
Per evitare il peggio,
dovremmo ridurre al più presto la concentrazione di CO2 in
atmosfera, portandola dalle attuali 390 a 350 parti per milione,
attrezzandoci al contempo per affrontare le conseguenze dei
cambiamenti climatici che non riusciremo in ogni caso ad evitare.
Si dovrà per forza
cominciare dal futuro del Protocollo di Kyoto, che deve essere
rinnovato nel 2012. La prima fase del Protocollo di Kyoto del 1997,
che impegnava i Paesi industrializzati a ridurre del 5,2 per cento le
emissioni di gas serra entro il 2012, si concluderà alla fine del
prossimo anno. Calcolando che per ratificarlo ci sono voluti sette
anni di negoziati, con gli Stati Uniti che frenavano e l’Europa che
spingeva, si comprende perché l’obiettivo di arrivare in tempo
appaia sempre più una “mission impossible”.
Inoltre il Protocollo di
Kyoto non è mai stato ratificato dagli Stati Uniti né dai Paesi
emergenti. Sul suo rinnovo dal 2012 pesa proprio la mancanza di
unanimità: Giappone, Russia, Canada e forse anche l’Ue non sono
disposti a continuare senza le altre potenze.
Ma c’è chi ancora nutre
qualche speranza…
L’Unione europea, che ha
mantenuto gli impegni assunti a Kyoto, ritiene che solo se le
emissioni globali di gas serra si dimezzeranno rispetto ai livelli
del 1990 entro il 2050 potremo avere il 50 per cento di possibilità
di contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2 gradi, che
rappresentano il tetto oltre il quale i danni comincerebbero ad
assumere una dimensione catastrofica.
L’Unep, il Programma
Ambiente delle Nazioni Unite, ha elaborato uno scenario di riduzione
nei vari settori (produzione di energia elettrica, trasporti,
edilizia, agricoltura, rifiuti) in cui si dimostra che i tagli sono
realizzabili non solo a costi contenuti, ma con meccanismi che
porterebbero a ricadute positive sull’insieme dell’economia.
Ma queste “soluzioni”
avvengono con un processo lento, mentre i cambiamenti climatici sono
molto veloci. La sfida di Durban è tutta qui: si riuscirà ad
accelerare il percorso di guarigione dell’atmosfera prima che la
malattia diventi devastante?