martedì 22 Ottobre 2024
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Trivellazioni anche a Senigallia?

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L’approvazione alla
Camera del decreto “Sblocca Italia” ripropone un modello di
sviluppo vecchio e fallimentare: progetti di strade e autostrade, la
filosofia degli inceneritori, un insensato e ulteriore consumo di
suolo, la proliferazione di trivelle per la prospezione,
l’estrazione, lo stoccaggio del petrolio.

La politica energetica del
governo – che programma trivellazioni in mare per estrarre le
ultime gocce di petrolio, ignorando l’efficienza energetica e
attaccando le rinnovabili – non è certo un esempio di innovazione,
ma piuttosto un complesso di scelte che ci legherà ad energie del
passato, con l’aggravante di essere un vero e proprio regalo ai
petrolieri.

Se il decreto verrà
convertito in legge, le coste della Sicilia, dell’alto Adriatico e
molte altre zone della penisola diventeranno il Texas d’Italia, con
enormi rischi per l’ambiente e per le economie locali, che vivono
in gran parte di pesca sostenibile e turismo.

Poco importa se diverse
Regioni e moltissimi Comuni si oppongono a questa scellerata politica
fossile. Poco importano le proteste di decine di migliaia di persone
che hanno detto chiaramente che il mare è dei cittadini e non dei
petrolieri, che vogliono sfruttarlo solo per ricavarne profitti.
Renzi se ne infischia e tira dritto per la sua strada, anche se a
sostegno di questo “Sblocca trivelle” non c’è la benché
minima argomentazione, neppure a livello economico. E’ noto da
tempo che il nostro petrolio è poco e di scarsa qualità. Secondo le
valutazioni dello stesso ministero dello Sviluppo economico nei
nostri fondali marini ci sarebbero circa 10 milioni di tonnellate di
petrolio di riserve certe, che in base ai consumi attuali,
coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 8 settimane. Non solo:
anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato
soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro
Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.

Dei soldi provenienti
dall’oro nero, i cittadini – ovviamente – vedrebbero ben poco:
non è d’altronde un mistero che l’Italia abbia royalties tra le
più basse al mondo, e che gli abitanti della Basilicata – dove si
concentra la maggior parte del petrolio italiano – non siano certo
tra i più ricchi del Paese. Altro che innovazione e premier
rottamatore, la storia è sempre la stessa: in pochi si arricchiscono
alle spalle dei cittadini e dell’ambiente.

Oggi le aree richieste o
già interessate dalle attività di ricerca del petrolio si estendono
per circa 29.209,6 kmq di aree marine, 5.000 kmq in più rispetto
allo scorso anno. Attività che vanno a mettere a rischio il bacino
del Mediterraneo dove già si concentra più del 25% di tutto il
traffico petrolifero marittimo mondiale che provoca un inquinamento
da idrocarburi senza paragoni nel mondo.
Anche il mare di fronte a
Senigallia sarà interessato dalle attività di ricerca di petrolio e
di gas: già lo scorso 17 settembre il Ministero dell’Ambiente ha
concesso la compatibilità ambientale al progetto dell’ENI
denominato “Clara NW” i cui lavori sono collegati alla
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi denominata “B.C13.AS”,
una concessione di circa 400 chilometri quadrati. Avremo quindi
l’installazione di una nuova piattaforma a 4 gambe (Clara NW) e la
perforazione di quattro nuovi pozzi per gas e petrolio, nonché
l’installazione di una condotta sottomarina di 13 km dalla nuova
piattaforma ad una già esistente, detta Calipso.
Per quattro gocce di
petrolio stanno mettendo in pericolo l’economia turistica, la pesca
e l’ecosistema del Mare Adriatico.