martedì 22 Ottobre 2024
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Delitti ambientali

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Dopo
la vicenda Eternit, il processo sulla morte di un centinaio di operai
dell’ex stabilimento Marlane di Praia a Mare e quello sulla discarica
dei veleni Bussi, abbiamo la conferma sull’inadeguatezza della
legislazione italiana sul fronte ambientale.

Le
que­stioni sem­brano sempre la stesse: non c’è il reato di
disa­stro ambien­tale, che com­porti la per­ma­nenza
del reato fin­ché per­si­stono gli effetti disa­strosi
sulla salute umana e sulla com­pro­mis­sione distrut­tiva
dell’ambiente. Per cui la pre­scri­zione scatta,
ine­vi­ta­bile. Inoltre stando alle informazioni del
quotidiano “Il Manifesto” c’è “una variante in più,
pro­po­sta sem­bra dall’avv. Seve­rino, già
mini­stro della giu­sti­zia, che sostiene che, al
con­tra­rio di quanto ci hanno sem­pre ripe­tuto che
la legge non ammette igno­ranza, per l’ambiente que­sta
igno­ranza sarebbe ammessa e quindi gli impu­tati non
sape­vano quel che face­vano! Se dovesse far scuola anche
que­sta let­tura dei disa­stri ambien­tali, le
pos­si­bi­lità di resi­stere ed impe­dire
l’inquinamento e il danno alla salute scomparirebbero”
.

Ecco
per­ché è asso­lu­ta­mente inde­ro­ga­bile
inse­rire i delitti ambien­tali nel nostro codice penale di
fronte a una parte del paese dimen­ti­cato che chiede
giu­sti­zia di fronte all’impunità degli eco­cri­mi­nali.
Sarebbe un buon modo per dare fiducia all’economia legale e
soste­ni­bile, ai cit­ta­dini per­bene.

Le
tante associazioni italiane che chiedono giustizia ambientale sono
tutte con­sa­pe­voli che il cri­mine
ambien­tale è un cri­mine essen­zial­mente
eco­no­mico, figlio di una logica per­versa di impresa e
della ricerca del pro­fitto a ogni costo. Que­sta logica va
sman­tel­lata alla radice, quando in gioco ci sono inte­ressi
col­let­tivi e il futuro di intere comu­nità. Ser­vono
nuove poli­ti­che di pre­ven­zione e di gestione
vir­tuosa dei beni comuni, certo, ma serve anche il bastone della
legge penale con­tro chi si ostina a fare impresa a danno della
comu­nità. Se vogliamo essere un paese nor­male e moderno
”.

Vittorio
Cogliati Dezza presidente di Legambiente si fa portavoce delle tante
anime ambientali del Paese (Green­peace, Wwf, Fai, Lav, Lipu,
Kyoto Cub, Arci, Msf e Libera) va sostenendo che “oggi, però,
una strada da per­cor­rere fino in fondo c’è. Una strada
che è stata per­corsa finora solo a metà e che oggi sem­bra
impan­ta­nata. Que­sta strada è il dise­gno di legge
1345, appro­vato lo scorso 26 feb­braio a lar­ghis­sima
mag­gio­ranza alla Camera e subito spa­rito nelle sab­bie
mobili del Senato. Qui il fronte del No ha tro­vato rin­no­vato
vigore, forag­giato da una parte di quel mondo indu­striale,
pre­i­sto­rico, abi­tuato a sca­ri­care sulla
col­let­ti­vità i costi di pro­cessi pro­dut­tivi
obso­leti e for­te­mente inqui­nanti. Che temono come
il demo­nio quei 4 nuovi delitti ambien­tali, soprat­tutto
quelli di disa­stro e di inqui­na­mento ambien­tale,
che li costrin­ge­reb­bero a pren­dere una deci­sione
defi­ni­tiva: ade­guarsi ai nuovi tempi e alle nuove
tec­no­lo­gie (inter­na­liz­zando parte dei
costi finora sca­ri­cati all’esterno),
respon­sa­bi­liz­zando la pro­pria con­dotta,
oppure met­tersi dichia­ra­ta­mente fuori legge e
rischiare di finire nelle patrie galere. È l’effetto della
deter­renza, o meglio, della pre­ven­zione ciò che ci
inte­ressa di più. Que­sta riforma, facil­mente
miglio­ra­bile e per­fet­ti­bile, potrebbe
con­tri­buire a svec­chiare un pezzo di mondo
pro­dut­tivo e soprat­tutto soste­nere l’economia
sana con­tro quella che gioca sporco, altri­menti, come è
sem­pre acca­duto, l’economia cat­tiva cac­cerà
l’economia sana”.