Delitti ambientali
Dopo
la vicenda Eternit, il processo sulla morte di un centinaio di operai
dell’ex stabilimento Marlane di Praia a Mare e quello sulla discarica
dei veleni Bussi, abbiamo la conferma sull’inadeguatezza della
legislazione italiana sul fronte ambientale.
Le
questioni sembrano sempre la stesse: non c’è il reato di
disastro ambientale, che comporti la permanenza
del reato finché persistono gli effetti disastrosi
sulla salute umana e sulla compromissione distruttiva
dell’ambiente. Per cui la prescrizione scatta,
inevitabile. Inoltre stando alle informazioni del
quotidiano “Il Manifesto” c’è “una variante in più,
proposta sembra dall’avv. Severino, già
ministro della giustizia, che sostiene che, al
contrario di quanto ci hanno sempre ripetuto che
la legge non ammette ignoranza, per l’ambiente questa
ignoranza sarebbe ammessa e quindi gli imputati non
sapevano quel che facevano! Se dovesse far scuola anche
questa lettura dei disastri ambientali, le
possibilità di resistere ed impedire
l’inquinamento e il danno alla salute scomparirebbero”.
Ecco
perché è assolutamente inderogabile
inserire i delitti ambientali nel nostro codice penale di
fronte a una parte del paese dimenticato che chiede
giustizia di fronte all’impunità degli ecocriminali.
Sarebbe un buon modo per dare fiducia all’economia legale e
sostenibile, ai cittadini perbene.
Le
tante associazioni italiane che chiedono giustizia ambientale sono
“tutte consapevoli che il crimine
ambientale è un crimine essenzialmente
economico, figlio di una logica perversa di impresa e
della ricerca del profitto a ogni costo. Questa logica va
smantellata alla radice, quando in gioco ci sono interessi
collettivi e il futuro di intere comunità. Servono
nuove politiche di prevenzione e di gestione
virtuosa dei beni comuni, certo, ma serve anche il bastone della
legge penale contro chi si ostina a fare impresa a danno della
comunità. Se vogliamo essere un paese normale e moderno”.
Vittorio
Cogliati Dezza presidente di Legambiente si fa portavoce delle tante
anime ambientali del Paese (Greenpeace, Wwf, Fai, Lav, Lipu,
Kyoto Cub, Arci, Msf e Libera) va sostenendo che “oggi, però,
una strada da percorrere fino in fondo c’è. Una strada
che è stata percorsa finora solo a metà e che oggi sembra
impantanata. Questa strada è il disegno di legge
1345, approvato lo scorso 26 febbraio a larghissima
maggioranza alla Camera e subito sparito nelle sabbie
mobili del Senato. Qui il fronte del No ha trovato rinnovato
vigore, foraggiato da una parte di quel mondo industriale,
preistorico, abituato a scaricare sulla
collettività i costi di processi produttivi
obsoleti e fortemente inquinanti. Che temono come
il demonio quei 4 nuovi delitti ambientali, soprattutto
quelli di disastro e di inquinamento ambientale,
che li costringerebbero a prendere una decisione
definitiva: adeguarsi ai nuovi tempi e alle nuove
tecnologie (internalizzando parte dei
costi finora scaricati all’esterno),
responsabilizzando la propria condotta,
oppure mettersi dichiaratamente fuori legge e
rischiare di finire nelle patrie galere. È l’effetto della
deterrenza, o meglio, della prevenzione ciò che ci
interessa di più. Questa riforma, facilmente
migliorabile e perfettibile, potrebbe
contribuire a svecchiare un pezzo di mondo
produttivo e soprattutto sostenere l’economia
sana contro quella che gioca sporco, altrimenti, come è
sempre accaduto, l’economia cattiva caccerà
l’economia sana”.