Air Gun

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Nel nome “Air Gun”
potrebbe riecheggiare qualcosa di “figo”, potrebbe persino
sembrare il sequel del famoso film con Tom Cruise “Top Gun”.

Purtroppo il nome “Air Gun” non ha nulla di affascinante in
quanto si tratta di una tecnica di prospezione geosismica per capire
se sotto i fondali marini possono esservi giacimenti gassosi o
liquidi.

Ecco la definizione
rilasciata dalla dottoressa Maria Rita D’Orsola: “L’airgun è
una tecnica di ispezione dei fondali marini, per capire cosa contiene
il sottosuolo. Praticamente ci sono degli spari fortissimi e
continui, ogni 5 o dieci minuti, di aria compressa che mandano onde
riflesse da cui estrarre dati sulla composizione del sottosuolo.
Spesso, però, questi spari sono dannosi al pescato, perché possono
causare lesioni ai pesci, e soprattutto la perdita dell’udito.
Questo è molto grave perché molte specie ittiche dipendono dal
senso dell’udito per orientarsi, per accoppiarsi e per trovare
cibo. Già in provincia di Foggia ci sono stati degli spiaggiamenti (
i sette capodogli morti a Peschici – n.d.r.) che potrebbero essere
dovuti a queste tecniche pericolose
”.

A maggio di quest’anno,
nonostante gli impegni assunti, la maggioranza – su input del
governo, e in particolare del premier Renzi e del ministro per
l’Ambiente Galletti – ha modificato il testo del decreto legge
sugli ecoreati, stralciando il comma relativo al divieto di utilizzo
della tecnica dell’air gun nei nostri mari per la ricerca di
idrocarburi.

Il governo ha così voluto
garantire gli interessi delle compagnie petrolifere che vogliono
ricercare o estrarre idrocarburi dai nostri mari – pagando
royalties tra le più basse al mondo e creando pochissimi posti di
lavoro – e salvaguardare la possibilità di ricorrere a uno
strumento estremamente impattante. Già oggi l’impiego dell’air
gun è vietato sulla costa canadese e statunitense del Pacifico.

Andrea Boraschi,
responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, così
aveva commentato “Il governo Renzi conferma la sua spiccata
vocazione di servizio alle compagnie petrolifere. Ovviamente a
discapito dell’ambiente, del clima e di tutti i settori produttivi
che possono essere danneggiati dalle trivelle a mare, turismo e pesca
in primis. Per due gocce di petrolio, per le quali nessun Paese serio
nemmeno si scomoderebbe, questi signori stanno mettendo a rischio
quanto di più prezioso l’Italia possa offrire: le sue risorse
paesaggistiche e naturali, la sua biodiversità
”.