Il petrolio affonda sotto il peso di scorte di nuovo in aumento

Gli investitori stavano aspettando da mesi un segnale di efficacia dei tagli Opec. Alla fine il segnale è arrivato, ma nell’arco di poche settimane si è anche già spento: le scorte petrolifere, che avevano finalmente iniziato a ridursi, hanno ripreso ad accumularsi con un’evidenza impossibile da ignorare.

Il mercato ha reagito di conseguenza, spingendo le quotazioni del greggio ancora più in basso, a livelli che non toccavano da metà novembre: 45,42 $/barile per il Brent e 42,75 $ per il Wti. Con i ribassi di ieri, che hanno sfiorato il 3%, il petrolio è entrato tecnicamente in «bear market», ossia ha corretto di oltre il 20% dai massimi di gennaio.

Non sono previsioni, stime o sensazioni ad aver cambiato l’umore degli operatori. Non è più l’impazienza di veder riequilibrare la domanda e l’offerta di greggio. E non è nemmeno un gioco speculativo astratto. Le prove di un nuovo aumento del surplus sono sotto gli occhi di tutti, o quanto meno di tutti gli addetti ai lavori: sul mercato fisico, dove carichi di greggio hanno ricominciato a vagare per mare in cerca di un acquirente.

I cosiddetti stoccaggi galleggianti, greggio e prodotti raffinati conservati a bordo di petroliere, non sono ancora attraenti dal punto di vista speculativo, ma sono comunque risaliti a 111,9 milioni di barili, stima la società francese Kpler. Da inizio maggio, quando erano intorno a 74 mb, c’è stato un aumento del 23% nell’area di Singapore, del 32% nel Mare del Nord.

Lo stesso fenomeno è stato evidenziato da Morgan Stanley, secondo cui nell’ultimo mese le scorte petrolifere a bordo di navi sono aumentate al ritmo di 800mila barili al giorno. Solo in giugno si sarebbero aggiunti 52 mb, un record dal 2012. «I dati recenti non sono incoraggianti – osserva la banca, con riferimento anche agli stoccaggi a terra – Le scorte petrolifere identificabili, ossia greggio e prodotti nell’Ocse, in Cina e in alcuni altri Paesi non Ocse nel primo trimestre sono aumentati al ritmo di un milione di barili al giorno».

La recente discesa degli stock di greggio negli Stati Uniti, che aveva incoraggiato il mercato, sembra aver semplicemente trasferito il problema altrove: con estrazioni ai massimi da due anni (9,3 mbg) e infrastrutture di trasporto sempre più efficienti, gli Usa esportano volumi crescenti di greggio, addirittura oltre 1 mbg in aprile. Anche le raffinerie americane producono a ritmi da primato, sfornando prodotti che si vanno ad accumulare sia in patria (le scorte di benzine stanno salendo in modo allarmante) sia, ancora una volta, sui mercati di esportazione.

Nel Bacino Atlantico il greggio Usa, in gran parte shale oil, di qualità leggera, è entrato in competizione con quelli di Libia e Nigeria, tornati a sospresa sul mercato in grandi quantità nelle ultime settimane: la compagnia libica Noc afferma che la produzione ha raggiunto 900mila bg – un record da 4 anni – e potrebbe arrivare a 1 mbg entro fine luglio dopo la risoluzione di una disputa con la tedesca Wintershall, mentre Abuja è tornata a esportare quasi 1,8 mbg. O meglio: a cercare di esportare, perché piazzare carichi sul mercato è diventato molto difficile.

Al largo della Gran Bretagna sono ancorate petroliere con carichi per almeno 9 mb di greggi del Mare del Nord secondo Argus: le qualità Brent, Forties, Ekofisk e Oseberg, che compongono il paniere del Brent. Le raffinerie indipendenti cinesi, che lavorano greggi leggeri, negli ultimi tempi hanno intanto rallentato gli acquisti, perché già abbastanza rifornite.

L’effetto ribassista sulle quotazioni del Brent era inevitabile, di fronte a un quadro del genere. La pressione delle vendite ha fatto anche dissolvere la backwardation, ossia il premio delle quotazioni a pronti su quelle a futuri, una condizione di mercato che stava incoraggiando lo svuotamento delle scorte: adesso c’è un contango crescente, particolaremente marcato per il Brent. E smuovere la curva non sarà facile. I produttori di petrolio hanno infatti smesso di fare hedging, attenuando le vendite sulle scadenze lontane, e viceversa hanno cominciato a proteggersi (comprando) i grandi consumatori, come le compagnie aeree.

Sissi Bellomo