domenica 6 Ottobre 2024
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Paradiso finanziario virtuale

La Dna, direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, nella relazione annuale appena pubblicata lancia sulle criptovalute un allarme senza precedenti. In un capitolo di 25 pagine tutto dedicato a bitcoin e monete virtuali, la Procura nazionale guidata da Federico Cafiero De Raho racconta nei dettagli i rischi di «un utilizzo massiccio» da parte di mafiosi, terroristi ed evasori. Per ripulire e rimettere in circolo denaro sporco, sottrarsi agli obblighi fiscali o sostenere progetti eversivi grazie al regime di anonimato e i problemi investigative per la difficoltà di tracciare i criminali. Il riciclaggio si realizza con quote «consistente di proventi illeciti, anche mediante lo “spacchettamento” delle somme da riciclare e/o l’utilizzo di più soggetti riciclatori, ovvero il ricorso a più monete virtuali». La Dna avverte: «Gli scambi diretti tra utenti continueranno a permanere non presidiati anche in prospettiva» e le modalità di queste operazioni sono più d’una. Di conseguenza le indagini rischiano di essere fatte con armi spuntate: ci sono oggettive «difficoltà» per la «complessa acquisizione di prove» senza contare la «concreta sequestrabilità» delle somme illecite.

Le monete virtuali diventano sempre più uno strumento nelle mani delle mafie, che le utilizzano soprattutto per riciclare denaro. A lanciare l’allarme è la Direzione Nazionale Antimafia nella sua ultima relazione. Il report, che fa riferimento alla relazione 2018, è stato citato dal Sole 24 Ore. Secondo la Dna, criptovalute sono utilizzate molto spesso da “organizzazioni delinquenziali anche di matrice mafiosa, per ripulire somme consistenti di proventi illeciti anche mediante lo spacchettamento delle somme da riciclare e l’utilizzo di più soggetti riciclatori, ovvero il ricorso a più monete virtuali”.

Secondo il documento, “il bitcoin risulta la prima moneta per i pagamenti realizzati sul darknet ovvero per il commercio illegale” e tra le difficoltà per gli investigatori c’è una “complicata identificabilità degli indagati; la complessa acquisizione di prove circa le movimentazioni di valuta virtuale e la riconducibilità a soggetti specifici”.

Nella relazione del sostituto procuratore Francesco Polino viene riportato: “il sistema delle criptovalute ha natura decentralizzata, ogni computer ha eguale accesso alle risorse comuni” e “le transazioni possono avvenire non soltanto tra soggetti residenti in Stati diversi, ma anche essere riconducibili a più account in realtà riferibili sempre alla medesima persona”.

 

Riporto qui sotto l’articolo “Un paradiso finanziario virtuale” di Marco Ludovico de “Il Sole 24 Ore”

La Dna, direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, lancia sulle criptovalute un allarme senza precedenti. Nella relazione annuale, appena pubblicata, la Procura nazionale guidata da Federico Cafiero De Raho affronta il tema con un capitolo di 25 pagine. Le preoccupazioni si ritrovano riga dopo riga. Se poi si pensa che la relazione è aggiornata al 2018, i timori possono essere ancora più alti. L’uso criminale di queste monete virtuali è almeno duplice: riguarda mafiosi e terroristi. Oltre agli evasori fiscali.

Scrive Francesco Polino, sostituto procuratore: «Il rischio sistemico principale è quello di assistere, de facto, alla creazione nel web di un paradiso finanziario virtuale». Con tre fattori in gioco. «Il sistema delle criptovalute ha natura decentralizzata, ogni computer ha eguale accesso alle risorse comuni». Inoltre «le transazioni possono avvenire non soltanto tra soggetti residenti in Stati diversi, ma anche essere riconducibili a più account in realtà riferibili sempre alla medesima persona». Ed «esistono sempre più espedienti capaci di assicurare un maggior grado di anonimato».

La conclusione è sconsolante: «In questo contesto, il bitcoin risulta la prima moneta per i pagamenti realizzati sul darknet ovvero per il commercio illegale». Compreso «lo scambio di materiale pedopornografico». Nella relazione firmata da Cafiero De Raho lo scenario è chiaro: «Utilizzo massiccio delle criptovalute» da parte di «organizzazioni delinquenziali, anche di matrice mafiosa, per ripulire somme consistente di proventi illeciti, anche mediante lo “spacchettamento” delle somme da riciclare e/o l’utilizzo di più soggetti riciclatori, ovvero il ricorso a più monete virtuali». Le possibilità di ripulire e rimettere in circolo i profitti criminali ormai non si contano. Lo schema vale anche in assenza di identità mafiosa: basta essere semplici «contribuenti che dovessero decidere di occultare i proventi dell’evasione fiscale». La terna si completa con il ricorso alle criptovalute per «finalità di finanziamento del terrorismo, attraverso donazioni o supporto ad attività terroristiche da parte di soggetti dislocati in diverse parte del mondo».

L’allarme, però, non finisce qui. I timori, infatti, non riguardano soltanto le potenzialità criminogene, molte ancora da scoprire, delle monete virtuali nelle strategie d’affari di mafiosi, terroristi ed evasori. La Dna, tra l’altro, ricorda come i rischi riguardino anche «i consumatori e gli investitori». E i pericoli sull’utizzo delle criptovalute per «finalità illecite» sono «principalmente derivanti dal regime di anonimato che connota le transazioni».

Ma la preoccupazione è più ampia. Le armi degli investigatori rischiano di essere spuntate, insufficienti, inefficaci. Ci sono indiscusse «difficoltà», scrive la Dna, per la «complicata identificabilità degli indagati; la complessa acquisizione di prove circa le movimentazioni di valuta virtuale e la riconducibilità a soggetti specifici; la concreta sequestrabilità delle virtual currencies e delle disponibilità presenti sui wallet».

Non è finita: «Continueranno a permanere non presidiati, anche in prospettiva, gli scambi diretti tra utenti». Per le modalità c’è l’imbarazzo della scelta: «Le più comuni piattaforme di commercio online tra privati; transazioni “nascoste”, effettuate nel deep web; piattaforme web gestite da soggetti terzi che operano come intermediari “di fatto”». Fa impressione la consapevolezza dell’analisi: «Emerge nitidamente l’innegabile potenzialità dissimulatoria della criptovaluta – si legge nel documento della Dna – in grado di ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del profitto illecito».

Il rischio Bitcoin, va detto, era stato già segnalato nelle relazioni di altri uffici come la Dia (direzione investigativa antimafia) e il Dis (dipartimento informazioni e sicurezza) presso la Presidenza del Consiglio. Cafiero De Raho ha varato un tavolo tecnico per mettere a fattor comune sintesi e criticità rilevate. Ci sono Uif (unità di informazione finanziaria per l’Italia) e Dogane del ministero Economia e Finanze; Dia e Polizia postale del dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno; Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) e Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza. «Si stanno analizzando le tecniche investigative per poter tracciare sul sistema Blockchain le singole transazioni e l’identità degli utilizzatori». Davanti a questi rischi, in crescita certa e continua, la politica dovrà dare risposte.