Coronavirus. Allo studio riduzione d’orario a parità di salario e Reddito d’emergenza
Qualche schiarita ma ancora punti di attrito nella maggioranza sul decreto da 55 miliardi a sostegno dell’economia terremotata dal coronavirus. Sul reddito (o contributo) di emergenza si va verso un’intesa. Tuttavia il puzzle delle misure non ha ancora tutti i tasselli al loro posto. Ieri sera il governo ha fatto il punto con i sindacati e questa mattina dalle 9 lo farà con il mondo imprenditoriale, molto critico negli ultimi giorni. L’obiettivo è ricompattare le parti sociali attorno a un progetto di ripartenza che spianerebbe la strada anche all’accordo politico sul Dl.
«Ci dobbiamo rimboccare le maniche, avremo una brusca caduta del Pil», ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ai leader di Cgil, Cisl e Uil durante l’incontro in videoconferenza. Nel Def la stima sul Pil è del –8%.
Ma «si potrebbe contrarre ulteriormente », ha avvertito il premier. Insomma, l’allarme rosso si attenua sul versante sanitario, ma si acuisce sull’economia. «Stiamo scrivendo un capitolo importante di questa dura prova – ha detto Conte –. È un piano cospicuo, dobbiamo essere efficaci per sostenere famiglie, lavoratori e imprese. Certo, non sarà la panacea di tutte le conseguenze negative che stiamo vivendo, ma stiamo facendo il possibile per limitare i danni e non vogliamo lasciare indietro nessuno». Per questo il capo del governo punta a un «patto sociale per far ripartire davvero il Paese» all’insegna di «modernità ed equità».
Con un tavolo di confonto che andrà oltre la stretta emergenza e che è stato accolto positivamente dal leader della Cisl, Annamaria Furlan: «È quello che ci attendevamo di ascoltare. Bisogna lavorare assieme in uno spirito concertativo».
Una delle novità emerse riguarda la possibilità di ridurre temporaneamente l’orario di lavoro. Una operazione che non peserebbe sulle imprese né sui lavoratori, perché sarebbe lo Stato a integrare la quota mancante dei salari. Ma permetterebbe di ridurre l’utilizzo della cassa integrazione e di sostenere l’occupazione. L’idea arriva dalla task force dell’Innovazione, la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo lo sostiene e punta a far partire subito la misura. Spunta pure la possibilità di procedure semplificate per favorire le ristrutturazioni delle scuole. Intanto nella maggioranza si cerca di trovare la “quadra” sugli altri punti del decreto. L’incontro di lunedì si è concluso a notte fonda senza sciogliere tutti i nodi.
Nel pomeriggio di ieri è maturato un compromesso sul Reddito di emergenza, che potrebbe cambiare nome in “Contributo di emergenza” per chiarire sin dalla denominazione che si tratta di una misura temporanea (anche se sempre per 2 mesi), non strutturale. La misura deve tutelare quelle categorie che non hanno altri sostegni. Italia Viva e Pd vogliono un’una tantum gestita dai Comuni che non diventi un’estensione del reddito di cittadinanza. Altro punto da chiarire riguarda i fondi alle imprese. I renziani hanno messo nel mirino l’idea di una ricapitalizzazione attraverso l’ingresso pubblico nel capitale. Aiuti sì, ma senza che lo Stato diventi una presenza ingombrante, è l’obiezione.
Il ministro Gualtieri ha rassicurato che non ci sarebbero ricadute sulla governance ma alla fine il dossier è stato messo in pausa, in attesa del confronto con le parti sociali. Sull’assegno di emergenza per figli entro i 14 anni sembra poi profilarsi l’ennesimo rinvio. Mentre si tratta sulla regolarizzazione dei lavoratori immigrati. Dei 55 miliardi, 20 serviranno a garantire l’estensione della cassa integrazione e del bonus per gli autonomi. Una decina di miliardi andranno a fondo perduto alle imprese. Oltre 3 miliardi alle sanità, 3 agli enti locali. Una dozzina di miliardi serviranno a pagare i debiti verso le imprese e ci saranno risorse per il turismo.