Mafia al tempo del coronavirus
Temo per la democrazia e ho paura che il coronavirus sia un’opportunità per le mafie.
Le mafie sono pronte a sostituirsi allo Stato davanti a una sua eventuale assenza. Di fronte alla mancanza di reddito, di lavoro e di liquidità possono occupare spazi. È importante segnalare la preoccupazione dei magistrati in prima linea e della ministra Lamorgese.
Al momento ci sono due tipi di mafiosi: quelli che stanno “fuori” e quelli che sono “dentro”.
I mafiosi che stanno “fuori”
Attendono alla finestra seguendo l’evolversi della pandemia, perché durante l’emergenza tutto può accadere in loro favore senza destare sdegno in un’opinione pubblica tutta presa a difendersi dal virus. Attendono di capire come la fase due di questa emergenza modificherà l’economia del paese, per individuare i nuovi obiettivi su cui lucrare, forti soprattutto della grande massa di denaro liquido che hanno a disposizione. Il cash è una delle armi più potenti di cui le mafie dispongono in questo momento, capace di spazzare via ogni cosa, senza provocare spargimento di sangue. Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha avvertito: “bisogna evitare che il deficit di liquidità, che in questo momento emergenziale può interessare imprenditori e intere categorie di cittadini, possa essere finanziato dalle organizzazioni criminali attraverso l’usura o l’acquisizione delle stesse attività”.
Le mafie hanno fiutato le opportunità aperte da situazioni di impoverimento di imprenditori e commercianti e vogliono incrementare il welfare mafioso.
Per questo motivo i prefetti, su indicazione del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, stanno tenendo alta la guardia per scongiurare il rischio di infiltrazioni criminali nella fase di riavvio delle attività economiche e per vigilare sulle dinamiche societarie e in quello immobiliare.
I mafiosi che stanno “dentro”
Sono quelli in carcere, soprattutto chi sta al 41bis. Attendono uno spiraglio legislativo per uscire dal carcere “impermeabile” a cui sono sottoposti. In alcuni istituti di pena i capimafia detenuti potrebbero sfruttare lo stato di emergenza in cui sono i penitenziari per avere pene alternative.
Nei giorni scorsi hanno generato scandalo e polemiche i domiciliari dati ad alcuni ex esponenti di clan camorristici e mafiosi, tra questi Pasquale Zagaria, Francesco Bonura, Vincenzino Iannazzo, il corleonese Pietro Pollichino ed altri ancora, in conseguenza di condizioni di salute incompatibili con il regime carcerario.
Garantire la salute del detenuto, di qualunque detenuto, dall’ex boss al 41bis al detenuto ignoto, è fondamentale, è un atto che ha una efficacia antimafia importante perché un carcere che non è democratico, diventa immediatamente un carcere dove comandano le mafie.
Senza dubbio però i boss non dovevano essere scarcerati, ma andavano curati in sicurezza in altre strutture carcerarie e lo Stato doveva mostrarsi pronto a dare risposte, senza temporeggiare o latitare.
La lista degli scarcerati finiti agli arresti domiciliari indicano storie di clan-aziende spesso in piena attività.
E, magari, affari non del tutto bloccati. Mentre altri complici potrebbero essere ancora sul territorio, lo stesso dove i detenuti ai domiciliari sono stati trasferiti. C’è di più: molti dei proventi realizzati da questi boss potrebbero non essere stati sequestrati.
È la ragione per cui i mafiosi usciti dal carcere rappresentano un potenziale pericolo.
vignetta di Mauro Biani