Esplosione di violenza

Il 25 maggio George Floyd, un nero di 46 anni, è mortodopo che un poliziotto gli ha tenuto il ginocchio premuto sul collo per alcuni minuti. In un video girato da un passante si sente Floyd dire “non riesco a respirare” e “non uccidetemi”. L’uomo non era armato. I quattro agenti coinvolti sono stati licenziati. La morte di Floyd sembra essere avvenuta in circostanze simili a quella di Eric Garner, che nel 2014 morì soffocato dopo essere stato immobilizzato dagli agenti. La vicenda ha riacceso il dibattito sulla violenza della polizia contro i neri.
Joe Biden, già vice di Obama ed oggi candidato democratico alla Casa Bianca, ha ben riassunto la vicenda: “è una ferita profonda perché viene dal peccato originale della nostra nazione” ovvero la schiavitù.

Se i principali attori delle prime violenze urbane sono stati gruppi di afroamericani – come nel caso dell’assalto ad una stazione di polizia di Minneapolis – il fenomeno si è poi esteso a unità di miliziani bianchi simili a quelli che a fine aprile invasero, armi in mano, la Camera dei Rappresentanti del Michigan a Lansing per protestare contro il lockdown o come i Boogaloo Bois nati su Facebook, che si propongono di innescare una “seconda guerra civile americana”. Ciò spiega perché molti piccoli commercianti afroamericani si sono armati per difendere le proprie attività e perché, sempre a Minneapolis, squadre di suprematisti bianchi sono scese in strada minacciando tanto gli afroamericani quanto gli agenti.
Non c’è da sorprendersi quindi se il Pentagono mette in campo la polizia militare a fianco della Guardia nazionale perché una guerriglia urbana con protagonisti suprematisti bianchi e nazionalisti neri prospetta uno degli scenari più pericolosi per la sicurezza interna degli Stati Uniti.

Ciò che aggrava la situazione è la cornice di una nazione dove, dopo due mesi e mezzo di Covid 19, vi sono almeno 40 milioni di disoccupati, oltre centomila morti, una moltitudine di aziende fallite.
Douglas Brinkley, storico della Rice University di Houston in Texas sostiene che “ad essere a rischio è la nostra convivenza civile perché tutti viviamo in una polveriera”.
Brinkley si riferisce agli Stati Uniti ma l’Europa ha subito dal coronavirus una devastazione economico-sociale non differente e dunque deve guardare a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti chiedendosi se non è l’inizio di un’esplosione di violenza che può contagiare i nostri Paesi.

 

Fonte: Internazionale, La Repubblica