Casapound insulta ma condannano Grizzly
Il primo aveva scritto offese sul muro contro il centro sociale ma poi era stato obbligato a cancellarli. «Esercizio arbitrario delle proprie ragioni»
Stava scrivendo su un cartello stradale di Fano, in via Manzoni, angolo via Caduti del mare, «figli di p…» oltre a «Grizzly di m…». Lo hanno visto all’opera proprio due giovani dell’associazione di sinistra Grizzly intimandogli di cancellare subito la scritta ingiuriosa. Era il 12 ottobre 2018. Lui, lo scrivano, Emanuele Di Firma, oggi 18enne, ex Casapound, di Fano, ha obbedito all’intimazione cancellando tutto ma subito dopo ha denunciato i due disturbatori della sua prosa per violenza privata aggravata per essersi sentito costretto a rimuovere i due «concetti» espressi sul cartello stradale. Che altrimenti avrebbe lasciato lì in bella mostra. Ieri, visto che venne presentata denuncia , si è svolto il processo a carico di Michele Binotti di 32 anni e Giulio Verna di 35, fanesi, i due iscritti all’associazione di sinistra Grizzly che intervennero quel giorno nei confronti di Emanuele Di Firma. Il giudice Lorena Mussoni ha interrogato i protagonisti della vicenda, a partire dal denunciante (costituitosi parte civile con l’avvocato Attilio Andreoni) il quale ha ammesso di esser stato al tempo un aderente a Casapound e quindi di essere in conflitto attraverso scritte di quel genere contro quelli del Grizzly. Ma ha poi aggiunto che quando venne sorpreso da Verna e Binotti, uno di loro «aveva una cintura che era pronto ad usare contro di me e io ho avuto paura, cancellando subito tutto con un pennarello che mi ha dato Verna. Al rientro a casa, prima non ho detto niente poi ho riferito a mio padre quello che era successo. Così mi ha portato in commissariato a fare denuncia perché al tempo ero ancora minorenne». ll giudice ha poi ascoltato la versione degli imputati (difesi dall’avvocato Paolo Cognini di Jesi) i quali hanno detto di «essersi imbattuti per caso nel Di Firma mentre questi stava imbrattando un cartello con frasi offensive contro noi del Grizzly. L’abbiamo visto perché, ha riferito Binotti, io abito proprio in via Manzoni e stavo tornando a casa con Verna e le nostre compagne. Siamo scesi andando verso Emanuele Di Firma dicendogli di cancellare gli insulti. Lui ci ha risposto di non voler problemi e ha cancellato. Gli abbiamo anche fatto credere di averlo fotografato e di essere pronti a denunciarlo, ma non era vero. Non abbiamo preso nessuna cintura né avevamo il pennarello. Ha usato quello che già utilizzava per scrivere le offese». Poi sono state sentite anche le compagne dei due imputati, ma la loro testimonianza non è stata granché utile per avere un quadro chiaro di quanto accaduto, anzi probabilmente l’ha confuso ulteriormente. Il pm ha chiesto 4 mesi di reclusione per entrambi gli imputati per il reato di violenza privata, associandosi la parte civile, mentre la difesa aveva chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Il giudice ha condannato Binotti e Verna a 2 mesi di reclusione (pena sospesa) derubricando l’accusa in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Inflitto loro anche un risarcimento danni di 2000 euro a favore di Emanuele Di Firma. In altre parole, gli imputati avevano il diritto di far cancellare quelle offese ma chiamando la forza pubblica e presentando denuncia. Non potevano farlo per le «vie brevi», inducendo qualcuno con la minaccia a fare delle azioni contrarie alla propria volontà. ro.da.