Difendiamo la legge 185
Tra maggio e luglio 2002 VITA lanciò una campagna massiccia per la difesa della Legge 185/90 considerata un modello a livello internazionale per i divieti che contiene, per i controlli e le misure di trasparenza per i trasferimenti di armi. Raccogliemmo 18 mila firme che chiedevano di non cambiare o addolcire la legge. Alle nostre se ne aggiunsero altre migliaia raccolte da altre reti.
Ma il tentativo di cambiare quella legge è tentazione che da allora ritorna. Giustamente oggi la Rete Italiana Pace Disarmo esprime la propria preoccupazione sulle modifiche della Legge 185/90 sull’export militare predisposte dal Governo con la recente presentazione al Parlamento di un apposto Disegno di Legge (Atto Senato n. 855). L’analisi del testo del Ddl rivela infatti l’intenzione di implementare strutture e procedure di applicazione dei principi e dei criteri della Legge nella direzione di un controllo meno rigoroso soprattutto a livello di autorizzazioni e, di conseguenza, di una maggiore facilitazione delle esportazioni di armamenti militari a livello globale. In particolare, facendo assumere al nuovo Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – CISD il compito di “applicare divieti” di esportazione dei materiali d’armamento stabiliti dalle norme nazionali e internazionali, si intende di fatto sottoporre la decisione ad un giudizio più di tipo politico che giuridico.
Si concretizza così una richiesta di revisione delle norme in vigore ripetutamente avanzata negli ultimi anni dall’industria militare in un’ottica di facilitazione delle esportazioni di armamenti per aiutare la competitività dell’industria militare, la cui funzione è stata sempre enfatizzata – erroneamente – come “strategica” per il “rilancio” dell’economia nazionale.
I dati governativi evidenziano una continua crescita nel volume di autorizzazioni e soprattutto di consegne all’estero di materiali d’armamento. Va inoltre evidenziato come nell’ultimo periodo sia progressivamente aumentato anche il numero totale di Stati clienti raggiunti dagli armamenti italiani, dato che pone il nostro Paese ai primi posti nel commercio mondiale di armamenti.
In oltre trent’anni di presenza di una normativa sull’export di armamenti (le legge 185/1990) solo in un caso è stato bloccato l’invio di materiali d’armamento (bombe e missili) verso attori altamente problematici (l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, che le utilizzavano per bombardamenti anche su civili in Yemen). Risultato raggiunto solo dopo una ampia mobilitazione della società civile, durata diversi anni, cui ha fatto seguito una decisione parlamentare che ha sollecitato quella governativa di conseguenza. Al contrario, in un tempo molto più breve l’attuale Governo ha deciso di riprendere le vendite di quegli ordigni, nonostante il conflitto yemenita non sia per nulla risolto e il rischio di ostilità e violazioni permanga alto, dimostrando ancora una volta il trattamento di favore e di vantaggio concesso alle esportazioni militari e agli affari armati.
Gli armamenti italiani sono stati e sono tuttora inviati in decine di situazioni di conflitto, di violazione diritti umani, di presenza di regimi autoritari come invece sarebbe espressamente vietato dalle norme in vigore (oltre al caso già citato ci riferiamo, tra gli altri, alle vendite verso Egitto, Turchia, Kuwait, Turkmenistan, Qatar, Israele… o anche ai tentativi di sottoscrivere contratti con l’Azerbaijan).