La bolla degli indignati speciali
Spesso le bolle dell’informazione sono innescate dai cosiddetti “indignati speciali” che abbracciano una causa e la montano sino ad invadere il mainstream informativo grazie a qualche quotidiano e agenzia che rilanciano il motivo dell’indignazione. Nel saggio The Propaganda Multiplier lo svizzero Konrad Hummler afferma che “d avanti a qualsiasi genere di informazione non dovremmo mai tralasciare di chiederci: perché ci giungono queste notizie, perché in questa forma e in questo momento? In fin dei conti si tratta sempre di questioni che riguardano il potere”. Forse non è un caso che proprio nei giorni di vigilia delConsiglio europeo, in ambasce per l’opposizione di Orban al finanziamento per l’Ucraina, sia scoppiato il caso di Ilaria Salis. Il 30 gennaio non era la prima volta che Ilaria Salis entrava in catene in tribunale. Tutte le volte precedenti, c’era un rappresentante dell’ambasciata italiana, che non ha mai protestato e nessuna notizia data dai giornalisti presenti era riuscita a perforare il muro di indifferenza. Invece il 30 gennaio le foto e i video della 39enne italiana hanno fatto il giro del mondo destando indignazione e scalpore per il fatto che sia entrata in un’aula di tribunale ungherese con mani e piedi incatenati.
Fatto deplorevole, ovviamente, giusti i motivi della protesta. Ma mi chiedo: possibile che nessun media italiano si indigni per la condizione della nostra giustizia e delle nostre carceri?
I dati ci dicono che sono già 13 i suicidi dietro le sbarre quest’anno.
Tredici morti nel primo mese è il doppio del 2022 quando si raggiunse il record di 84 vittime. Detenuti e agenti stavolta uniti nella critica al ministro Nordio che ha parlato di “una malattia ineliminabile.” Ben ha fatto Vita.it a titolare Giusto indignarsi per Ilaria Satis ma dobbiamo farlo anche per le condizioni delle nostre carceri. In Ungheria il sovraffollamento in carcere è in media del 102 per cento, in Italia siamo al 118,2% in media. A fronte di 51.272 posti ufficialmente disponibili, le persone detenute sono oltre 62mila. L’Italia è tra le ultime in Europa in tutte e quattro le classifiche diffuse dall’Ue. Si parte con la durata media della custodia cautelare dei detenuti che non hanno scontato una pena definitiva. Con una detenzione media di sei mesi e mezzo, l’Italia si colloca tra i Paesi che rinchiudono in prigione le persone sotto processo per un periodo più lungo. Solo quattro Paesi Ue hanno dichiarato custodie cautelari di durata superiore: Slovenia (12,9 mesi), Ungheria (12,3), Grecia (11,5) e Portogallo (11). Leggete anche la testimonianza della volontaria che racconta il degrado delle carceri italiane.
L’avvocato Nicola Canestrini, su Il Foglio, dice una cosa scomoda ma vera e cioè che «sul caso Salis noi italiani non possiamo dare lezioni a nessuno». E poi ricorda, tanto per cominciare che i detenuti arrivano in Aula con le manette e lì rimangono per ore con i famosi schiavettoni. Certo, non li fotografiamo e non li pubblichiamo, e questo è un bene, ma non farle vedere non le fa sparire. Le manette vengono tolte solo quando i detenuti vengono messi nei gabbiotti con le sbarre metalliche. Pratica che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, è contraria all’articolo 3 che vieta trattamenti inumani e degradanti. E stare in una gabbia produce «un sentimento di umiliazione, impotenza, paura, angoscia e inferiorità».
Ecco, va bene indignarsi contro l’Ungheria, ma dovremmo farlo anche verso il nostro sistema giudiziario con la stessa forza. Non lasciando solo il presidente Mattarella che mercoledì preoccupato per la situazione delle carceri in Italia ha convocato al Quirinale il capo del Dap, il pm antimafia napoletano Giovanni Russo!