A Stoccolma per parlare di acqua. Pubblica e per tutti
Si
è aperta ieri a Stoccolma (sostenibile capitale “verde”
europea 2010) con una solenne cerimonia ufficiale l’annuale World
Water Week, una settimana dedicata a informazioni, riflessioni,
discussioni, mostre, contatti, premi sulle risorse idriche globali.
Viene
organizzata dallo Stockholm International Water Institute, in
collaborazione con svariate istituzioni pubbliche e private svedesi;
sono presenti 2400 registrati di 173 paesi, tutte le grandi agenzie e
strutture del sistema Onu, centinaia di esperti da tutto il mondo,
tutte le principali organizzazioni che si occupano di acqua nelle
varie regioni del mondo; terminerà il 22 dopo centinaia di seminari,
sessioni plenarie, incontri ministeriali, eventi paralleli.
Il
focus è stato posto quest’anno su una delle risposte alle “sfide
globali”: «Accessing water for the Common Good». Bene comune,
all’incirca. Come spesso accade non si traggono davvero tutte le
conseguenze dall’uso dei termini: si parla troppo dell’accesso della
specie umana a quel bene, non si collega l’accesso a un diritto
(umano), non ci comparano le definizioni. Per l’acqua non siamo
ancora a una svolta nel negoziato fra i governi, fra le attuali e le
future generazioni.
Ce
ne sarebbe tanta di acqua sulla Terra, è un elemento abbondante e
straordinario: niente la distrugge, gira sempre; sta per aria e per
terra, si ghiaccia e si scioglie; si autodepura, vive ed è
indispensabile a ogni vita; modella ogni forma, il vivente umano e
non umano come il non vivente. Da qualche parte ve n’è sempre stata
poca, aree aride dove evapora molta più di quella che precipita. E
le specie si sono adattate, quasi sempre né migrando né
guerreggiando. Però se la quantità di acqua del ciclo globale è
costante e quella del singolo bacino è diversa per ogni bacino,
allora dipende da quanti la usano e da come la trattano in quel
bacino. Se i consumatori diventano troppi, se per di più la
sprecano, la inquinano, la maltrattano, allora diventa scarsa anche
nelle piovose metropoli (più negli slum che downtown), nelle fertili
pianure (durante le frequenti siccità), addirittura sulle coste
(dove il mare si scalda e si alza). Se ci si aggiungono pure i
cambiamenti climatici allora la scarsità diventa cronica, crescente,
globale, pericolosa per il suolo, le piante, gli animali e tutti gli
umani. Anche quando è troppa fa danni, come nel caso delle
alluvioni. E produce sempre più competizioni, conflitti, migrazioni.
Tutto
ciò a Stoccolma c’è. Se ne parla, tanti lo affrontano, dicono la
loro, espongono idee e soluzioni sensate. E la stessa Onu ha
cominciato a dotarsi di una struttura adeguata. Non a caso a
Stoccolma dal 14 al 16 agosto vi è stato il meeting semestrale di
Un-Water, il coordinamento fra tutti quelli che occupano di risorse
idriche in nome e per conto delle Nazioni Unite. Fu inventato sei
anni fa, è rimasto a lungo un semplice luogo di informazione
reciproca. Nel decennio scorso vi è stata una oggettiva subalternità
del sistema Onu al privato-pubblico del World Water Council, a
dinamiche di privatizzazione nazionali e multinazionali. Da almeno un
paio d’anni Un-Water sta diventando qualcosa di più e di meglio,
merito anche del coordinamento Fao.
Sarebbe
ora che si aprisse una discussione pubblica sulle istituzioni
dell’acqua. Con Riccardo Petrella abbiamo proposto una nuova autorità
Onu, possibile che non interessi a nessuno? Se prendete l’elenco dei
partecipanti, a Stoccolma ci sono oltre 70 rappresentanti tedeschi,
vari ministeri, decine di università, grandi centri studi e imprese,
e solo 10 italiani, nessun funzionario pubblico. Serve un’Autorità
Pubblica Mondiale per l’acqua e serve un piano globale Onu che vada
oltre il pur positivo coordinamento avviato dall’Un-Water: acqua
minima vitale da garantire a tutti, impegni vincolanti contro la
sete, proprietà pubblica basata sul diritto umano e sul bene comune,
principi pubblici di qualità gestione e controllo. In ogni bacino
idrografico, goccia a goccia.