Acqua privata: votazione al Senato

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La
scorsa settimana in questo sito abbiamo datonotiziadella volontà del governo di privatizzare l’acqua pubblica.

Il
4 novembre il Senato ha approvato l’articolo 15 del Decreto Legge
135/09 che sottrae ai cittadini l’acqua potabile di rubinetto, il
bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli
interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i
privati e per le Banche.

Il
decreto 135/09 approderà alla Camera dei Deputati a partire da
lunedì 9 novembre (in Commissione 1°) e verrà discusso dall’aula
lunedì 16 novembre.

Invito
la lettura dell’articolo di Emilio Molinari e Rosario Lembo (Sezione
italiana del contratto mondiale dell’acqua) pubblicato da “Il
Manifesto” del 6 novembre dal titolo “Un decreto da ritirare”.

Il
Senato ha votato la conversione in legge del decreto art. 15 con il
quale si privatizzano tutti i rubinetti d’Italia. L’acqua del
sindaco, come per anni l’hanno chiamata i lombardi, non c’è più e
di questo bisogna ringraziare la classe politica italiana. In
particolare un ringraziamento va alla Lega, che con questo voto ha
segnato il suo passaggio al sistema economico di potere e ha mostrato
quanto il suo federalismo sia puro linguaggio, e altrettanto la
decantata partecipazione dei cittadini.
La
mobilitazione del movimento, le mail che hanno intasato i computer
dei senatori, la presa di posizione di molti sindaci e della regione
Puglia, che ha dichiarato di voler assumere la gestione del Servizio
idrico integrato, hanno reso meno celebrativo il dibattito al Senato.
Per la prima volta i nostri argomenti sono risuonati in quelle aule
in modo chiaro e nel Pd si sono sentite voci discordanti da quelle
sostenute da sempre in questo partito.
Ma
tutto ciò non ha cambiato la sostanza del decreto.
Si
è resa obbligatoria la gara, si sono praticamente liquidate le Spa a
totale capitale pubblico, si sono generalizzate e affermate le
società miste definendo il tetto alla partecipazione pubblica al
trenta per cento, facendo cadere così anche l’ultima foglia di fico
di qualche amministratore che nel passato ha sostenuto che con il 51%
delle azioni il controllo maggioritario del pubblico era assicurato.
Si
è introdotta una nuova mistificazione: la possibilità ai comuni di
partecipare come «privati» alla prima gara. Si tratta di una cosa
paradossale: i comuni sono obbligati a mettere a gara le proprie
azioni ma poi possono gareggiare per riprendersele, magari attingendo
a prestiti bancari… Incredibile schizofrenia: mentre si afferma
definitivamente il primato del mercato, si permette l’estrema
finzione di chi, in mala fede, può ancora dire che non privatizza. A
ben vedere, questa ipocrita giustificazione è già in circolazione
E’
un vizio tipico di una certa politica italiana: perseguire la
privatizzazione e negare di averla fatta. Gli amministratori delle
regioni – solo per fare due esempi, la Toscana e l’Emilia Romagna –
sono stati maestri in tale arte.
Questo
decreto segna un passaggio cruciale per la cultura civile del nostro
paese e per la sua Costituzione. I Comuni e le Regioni vengono
espropriati da funzioni proprie, con un vero attentato alla
democrazia. Tutto questo fa dell’Italia l’unico paese europeo che si
incammini su tale strada.
Per
la stragrande maggioranza dei partiti, questo non è che l’epilogo di
una lunga sbornia privatistica, dalla quale solo in Italia sembra non
si voglia più uscire, nemmeno davanti all’attuale devastante crisi
finanziaria, nemmeno davanti al palese fallimento del neoliberismo
Per altri partiti prevale una storica indifferenza per il problema
acqua, per i beni comuni e per la difesa delle risorse limitate:
prevale l’abitudine, non il pensare.
Ora
il decreto va alla Camera: la battaglia perciò non è chiusa.
Vorremmo
tuttavia rivolgere un appello a tutti i partiti perché rivedano
questo decreto: bisogna ritirarlo, o in ogni caso togliere dal
decreto l’acqua per ciò che essa rappresenta. D’altro canto, si sono
già tolti alcuni servizi come il gas e si è tolta la
liberalizzazione delle farmacie. Vorremmo venisse tolto l’obbligo di
privatizzare imposto ai comuni.
E
un altro appello, speciale, ai partiti e ai parlamentari che hanno
votato contro il decreto e hanno sostenuto i nostri argomenti.
Li
ringraziamo, ma vogliamo dire loro che se si vuole fare veramente una
battaglia, non basta votare contro in aula. Ci si pronuncia come
partito attraverso il segretario nazionale, si dà mandato a tutto il
partito di mobilitarsi, si va in televisione o sui media per
denunciare ciò che avviene; si informa l’opinione pubblica.
E
questo vale per chi sta in Parlamento e per chi è stato messo fuori.
Per
i partiti che intendono mobilitarsi il 5 di dicembre contro la
politica sociale di Berlusconi, chiediamo di mettere nella
piattaforma la questione dei servizi idrici privatizzati.
E
infine, un appello particolare va alle organizzazioni sindacali,
affinché si pronuncino e si mobilitino non solo per il destino dei
lavoratori del settore, ma al nostro fianco, contro quella che si
chiama mercificazione dell’acqua, di cui il decreto italiano è un
tassello determinante e un precedente gravissimo.
È
in ballo la capacità della sinistra di rinnovare i propri paradigmi.
Ne va della sua stessa esistenza.