domenica 22 Dicembre 2024
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Globalizzazione: chi se lo sarebbe immaginato?

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Una
delle prime serate di
approfondimento che organizzò il gruppo Fuoritempo (circa dieci anni
fa) riguardava il problema della globalizzazione.

Un
argomento difficile da trattare in quel periodo perché agli inizi
del 2000 pochissimi ritenevano che il fenomeno della globalizzazione
contemplasse anche aspetti negativi.. La maggior parte delle persone
credeva infatti che la globalizzazione avrebbe offerto più
opportunità lavorative e quindi più giustizia.

Ora
mi sembra fin troppo facile constatare che molte persone si erano
illuse e che oggi, nel pieno di una crisi economica che non sembra
voler terminare, avvertiamo tutta la difficoltà di integrare nel
termine globalizzazione tre elementi che, se non sono ben calibrati,
generano conflitti sociali: ambiente (Terra), diritti (lavoratori),
economia (imprese).

E’
ciò che sta accadendo ad esempio nella vallata del Cesano, con la
possibile costruzione di una centrale turbogas. Una multinazionale
(Edison) ha necessità di produrre e vendere energia. Energia che
probabilmente non verrà utilizzata dalla regione Marche ma più
presumibilmente verrà esportata. Non servirà ad aumentare
significativamente le opportunità il lavoro (impiegherà circa 22
addetti) e avrà un forte impatto ambientale sul territorio. Ma
nonostante tutto questo il mercato “dice” che si deve
costruire… perché in caso contrario il Pil non crescerebbe e
probabilmente non crescerebbe nemmeno l’utile di Edison.

Stesso
discorso vale per Alcoa, multinazionale americana operante nel
settore dell’alluminio, che si appresta a chiudere due stabilimenti
in Italia. Un problema enorme che lascerebbe senza lavoro circa 2000
persone.
Eppure
mentre Alcoa si appresta a chiudere due stabilimenti nel nostro
paese, ecco che in Islanda, nella regione di Karahnjukar, la stessa
multinazionale sta dando vita ad un faraonico progetto industriale
destinato a cancellare per sempre 3000 kmq (circa il 3% dell’intera
superficie nazionale) di territorio incontaminato. L’area selvaggia
più grande d’Europa, la cui unicità stava per essere universalmente
riconosciuta attraverso l’istituzione del più vasto Parco Nazionale
del continente, sarà infatti destinata a scomparire nel silenzio
mediatico più assoluto, sommersa dalle acque di 3 laghi artificiali
e dalle esalazioni venefiche di una colossale fonderia. Il ciclopico
progetto Karahnjukar prevede la costruzione di 9 dighe in terra, fra
cui la più imponente d’Europa, una centrale idroelettrica da 690
megawatt ed una mega fonderia in grado di produrre 320.000 tonnellate
di alluminio l’anno. Artefici del progetto, con il beneplacito della
compagnia energetica islandese Landsvirkjun, ma contro la volontà
del 65% dei cittadini islandesi che hanno espresso la propria
contrarietà all’operazione, saranno la multinazionale americana
Alcoa e l’italiana Impregilo.

Alcoa
è la più importante corporation mondiale che opera nel settore
dell’alluminio. Ha recentemente chiuso 2 fonderie negli Stati Uniti
al fine di trasferire parte della propria attività in Islanda, dove
le sarà possibile tagliare notevolmente i costi della manodopera,
sfruttando gli immigrati cinesi e polacchi residenti in loco e
soprattutto inquinare in completa libertà, dal momento che grazie ad
una deroga al Protocollo di Kyoto all’Islanda è stato concesso di
aumentare del 10% l’opportunità di emissione di gas inquinanti
nell’aria.

La
devastazione connessa alle grandi opere, spesso costruite per
soddisfare gli insaziabili appetiti delle multinazionali, non sta
risparmiando l’Islanda così come probabilmente non risparmierà
neanche la Valle del Cesano.
Gli
effetti della globalizzazione ci sono arrivati anche “sotto casa”.
Dieci anni fa si diceva che “
Con
il termine globalizzazione nessuno può dire che il problema degli
altri non sarà un giorno anche un problema mio
”.
Chi
se lo sarebbe immaginato?