sabato 27 Luglio 2024
ArticoliArticoli 2011

Senigallia a difesa della Costituzione

senigallia_costituzione.jpg
Si è svolta sabato 12
marzo a Senigallia, in piazza Roma, la manifestazione “l’Italia
s’è desta” in difesa della Costituzione.

Una mobilitazione
culturale e delle coscienze per una giornata a difesa della
Costituzione, della scuola pubblica, della conoscenza e del lavoro.
Una manifestazione che ha avuto come punto principale la città di
Roma ma che anche a Senigallia ha saputo rappresentare un
appuntamento di riflessione per ribadire che l’Italia è una
repubblica democratica fondata sul lavoro; la bandiera della
repubblica è il tricolore italiano; l’arte e la scienza sono
libere; la repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro; lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio
ordine indipendenti e sovrani; la repubblica promuove lo sviluppo
della cultura e della ricerca scientifica e tecnica; tutti hanno
diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola,
lo scritto e qualsiasi altro mezzo di diffusione; tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale, sono eguali davanti alla legge senza
distinzioni di razza, di sesso, di lingua, di religione; tutti i
cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di
osservarne la Costituzione e le leggi; nessuno può essere distolto
dal giudice naturale precostituito per legge; la Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
Questa è la nostra
Costituzione e questo deve essere l’impegno per la nostra Italia.

Vorrei segnalare due brani
letti durante la manifestazione da una straordinaria Catia Urbinelli,
che ha dato voce e carisma (non a caso è attrice di teatro) al testo
di Piero Calamandrei e a Pericle.

Parte sostanziale del
“Discorso sulla Costituzione” di Piero Calamandrei (Milano, 26
gennaio 1955)

L’art.34 dice: “i
capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di
raggiungere i gradi più alti degli studi.” E se non hanno mezzi!
Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più
importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo; non
impegnativo per noi che siamo al desinare, ma soprattutto per voi
giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico
e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”. E’ compito di rimuovere
gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti,
dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo.
Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che
la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una
Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla
realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni
uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il
proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra
Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà
chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa
uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di
diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in
cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere
alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in
cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a
contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la
Società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è
in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è
ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro
da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta
dinnanzi! E’ stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle
polemiche, che negli articoli delle Costituzioni, c’è sempre,
anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni,
una polemica. Questa polemica di solito è una polemica contro il
passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è
venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della
Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai
diritti di libertà voi sentirete continuamente la polemica contro
quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte
queste libertà, che oggi sono elencate, riaffermate solennemente,
erano sistematicamente disconosciute: quindi polemica nella parte dei
diritti dell’uomo e del cittadino, contro il passato. Ma c’è una
parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il
presente, contro la Società presente. Perché quando l’articolo 3
vi dice “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di
ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana” riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci
sono, di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la
Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro
l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare, attraverso
questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la
Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è
una Costituzione immobile, che abbia fissato, un punto fermo. E’
una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio dire
rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende
qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione
rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa
Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà
giuridiche e politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze
economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere
persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma
spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione
economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della
Società. Quindi polemica contro il presente, in cui viviamo e
impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione
presente.

Però vedete, la
Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va
avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere
e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci
dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo
spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria
responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla
Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo, che
è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi
strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei
giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della
politica. E io quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in
mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà
di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano, su
un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva
e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran
burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora
uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ ma
siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo
mare, tra mezz’ora il bastimento affonda.” Allora lui corre nella
stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe”,….“che
c’è!” … “Se continua questo mare, tra mezz’ora, il
bastimento affonda” e quello dice ”che me ne importa, non è mica
mio!” Questo è l’indifferentismo alla politica.

E’ così bello e così
comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono
altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io.
Il mondo è così bello. E vero! Ci sono tante belle cose da vedere,
da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è
una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si
accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente
quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno
sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non
sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso
di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le
condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare
mai,ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna
vigilare,vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

La Costituzione, vedete, è
l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista
letterario non sono belli, ma l’affermazione solenne della
solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune,
che se va affondo, va affondo per tutti questo bastimento. E’ la
Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della
propria dignità d’uomo. Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la
caduta del fascismo, il 6 giugno del 1946; questo popolo che da
venticinque anni non aveva goduto delle libertà civili e politiche,
la prima volta che andò a votare, dopo un periodo di orrori, di
caos: la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a
votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui.
Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni. Disciplinata
e lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria
dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per
contribuire a creare, questa opinione della comunità, questo essere
padroni di noi, del proprio paese, della nostra patria, della nostra
terra; disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito,
la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra,
metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto,
questo è uno delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di
noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un
tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.

Qui ad Atene noi
facciamo così (Pericle Atene, 495 a.C. – 429 a.C.)

Qui ad Atene noi facciamo
così.
Qui il nostro governo
favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato
democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo
così.

Le leggi qui assicurano
una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non
ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si
distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a
servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una
ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo
così.

La libertà di cui godiamo
si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno
dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro
prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi
di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a
fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non
trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende
private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per
risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo
così.

Ci è stato insegnato di
rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare
le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che
ricevono offesa.
E ci è stato anche
insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono
nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è
buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo
così.

Un uomo che non si
interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e
benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh
tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la
discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la
felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il
frutto del valore.
Insomma, io proclamo che
Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce
sviluppando in sé una felice fiducia in se stesso, la prontezza a
fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra
città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo
così.