Ius soli
Sono favorevole alla proposta di legge “Ius soli“, il testo che allarga le maglie per la concessione della cittadinanza agli stranieri che in Italia nascono o hanno compiuto un ciclo di studi.
Concordo con il Presidente del Consiglio Gentiloni che “È arrivato il tempo di poter considerare a tutti gli effetti questi bambini come cittadini italiani. Glielo dobbiamo, è un atto doveroso e di civiltà. Mi auguro che il Parlamento lo faccia presto nelle prossime settimane” e che “interessa anche la sicurezza del nostro Paese: la via contro la radicalizzazione non è la costruzione di muri, ma quella del dialogo e l’inclusione“.
Trovo triste la visione della bagarre al Senato, ad opera della Lega, per l’avvio dei lavori sulla legge.
Ed è proprio la Lega, in compagnia del Movimento 5 Stelle e del centro destra, ad opporsi a questa norma di civiltà.
Peccato, perché se è vero (e lo è) che nel 2050 ci saranno tra i 7 e i 10 milioni di italiani in meno, come potrà reggere il nostro Stato? Non è quindi solo una norma di cività ma anche di buon senso per non far invecchiare il nostro Paese.
Già oggi tante fabbriche si reggono sul lavoro dei migranti. Secondo i dati della Fondazione Moressa, 640mila pensioni di italiani sono già oggi pagate dai contributi versati dagli immigrati. Senza di loro avremmo 30mila classi scolastiche in meno e migliaia di insegnanti senza lavoro.
Si capisce allora come sia centrale e decisivo il dibattito sulla cittadinanza per oltre 800mila bambini e ragazzi nati in Italia ma che italiani non possono ancora considerarsi.
Come ci ricorda il cardinale Montenegro “Sono bambini nati in questa terra che sono cresciuti accanto ai nostri ragazzi e hanno studiato con loro e che forse non sanno più nemmeno la lingua natia dei loro genitori, perché da sempre parlano l’italiano. A costoro diciamo: tu non puoi. E se lo dovessero fare con i nostri italiani all’estero? Giustamente, ci ribelleremmo“.
E’ chiaro che in questo periodo di crisi economica (e di globalizzazione) faccia molto presa la “paura” dello straniero.
Ma se questa paura è comprensibile per “l’italiano medio” non può esserlo per un parlamentare del quale, in virtù della sua elezione, si immagina abbia qualche nozione base di “come va il mondo”.
Sarebbe quindi più utile per tutti, invece di assistere a “pagliacciate” in Parlamento con urla e spintoni, che si riuscisse a ricondurre la discussione ad una valutazione seria e concreta del problema.
Agli “italiani medi” e ad alcuni “pagliacci” seduti in Parlamento consiglio queste due belle letture di Giovanni De Mauro tratte dal settimanale “Internazionale”
Permessi (3 marzo 2017)
Generazioni (9 giugno 2017)