mercoledì 9 Ottobre 2024
Informazione

I cortili dello zio Sam

“I cortili dello zio Sam” è un pugno in pieno stomaco di quelli che ti svegliano.

Poco più di cento pagine ed ho impiegato almeno due mesi per leggerlo; è un testo scorrevole, privo di artificiosità intellettualoidi, molto ben scritto e tradotto, ma va giù male come una medicina cattiva che però bisogna prendere; della serie bevi a piccole dosi ma finiscila tutta!

Scritto da Noam Chomsky e curato da David Barsamian per la Gamberetti Editrice, il libro è sottotitolato “Gli obiettivi della politica estera americana dal Vecchio al Nuovo Ordine Mondiale” ed è di questo che tratta. Un’ampia panoramica se vogliamo anche un po’ troppo miscellanea dello “stile americano” in politica estera dalla II Guerra Mondiale. Chomsky ama molto alternare considerazioni generali e analisi di fatti concreti. Durante la lettura si ha frequentemente la sensazione che voglia partire per la tangente ed esaminare molto a fondo una determinata questione, cosa che puntualmente non avviene. Questo libro è una serie di piccoli schiaffi, che hanno il merito di stordire il lettore.

Linguista, saggista politico e antiamericano. Cosi la gente e i media descrivono l’autore, nato a Piladelphia nel 1928. Sul linguista e sul saggista non ci sono dubbi vista la sua cattedra al M.I.T. e le sue numerose pubblicazioni. L’accusa di antiamericano invece è ingiusta e non qualificante. Gli è mossa da chi non vuole credere a ciò che scrive, o meglio non può crederci; perché porsi davanti a questo testo senza preconcetti, porta a comprendere che la storia degli U.S.A. presenta degli elementi oscuri che pongono tutto il “mondo occidentale” di fronte ad un ovvio problema di coscienza prima ancora che di giustizia.

Il libro si divide in quattro parti ben distinte.

La prima parte tratteggia gli obiettivi generali della politica estera statunitense. Considerazioni generali ma accompagnate dall’analisi di casi specifici, perché questo è un testo molto concreto che fa riferimento a rapporti ufficiali, a dossier processuali, e a testimonianze documentate: non è un’opinione! E’ chiaro che non tutte le questioni che Chomsky solleva sono analizzate in dettaglio in questo breve saggio, ma rappresentano un utile spunto per approfondire. Sempre che non si abbia timore di farlo!

La seconda parte è intolata “L’esportazione della violenza”. Dieci capitoli della politica estera degli Stati Uniti. La parte che ho trovato più sconcertante è senz’altro quella riguardante l’America Latina. “La crocefissione del Salvador”, “Una lezione al Nicaragua”, “Guatemala: un campo di sterminio” e “L’invasione di Panama” sono capitoli che spiegano tante cose della presente situazione di queste terre.

La terza parte (da cui sono tratti i due brevi capitoli che ho riportato qui sotto, “Socialismo vero e falso” e “I media”) esamina degli aspetti ideologici importanti per assimilare e meglio comprendere il libro.

La parte conclusiva è piuttosto rigenerante in quanto Chomsky lascia trasparire anche se a modo suo, un certo ottimismo per il futuro, soprattutto in riferimento alla sensibilità che tanti movimenti nel mondo hanno sviluppato rispetto a queste tematiche. Persone che non accettano lo stato delle cose è che portano avanti una lotta quotidiana per la Pace e la Giustizia. Una speranza per il futuro ma anche una grande responsabilità.

Buona lettura.

Simone Massi

DUE CAPITOLI

Socialismo vero e falso

dal libro “I cortili dello zio Sam” di Noam Chomsky

Si può discutere sull’interpretazione del termine “sociali­smo”, ma se ha un significato, questo è il controllo della produ­zione da parte dei lavoratori stessi; e di certo non vuol dire il dominio di proprietari e dirigenti che si impongono su di loro e controllano tutte le decisioni; e ciò vale sia che si parli di un’im­presa capitalistica che di uno stato assolutista.

Il riferimento all’Unione Sovietica come paese socialista costituisce un interessante esempio di ambiguità linguistica dottrinale. Il colpo di mano bolscevico dell’ottobre del 1917 mise il potere statale nelle mani di Lenin e di Trotsky, che finirono per smantellare le emergenti istituzioni socialiste sorte durante la rivoluzione popolare dei mesi precedenti ‑ i consigli di fabbrica, i Soviet, di fatto tutti gli organismi di controllo Popolare ‑ e per convertire la forza lavoro in quello che loro chiamavano “l’esercito dei lavoratori” al comando del leader. I bolscevichi quindi distrussero gli elementi esistenti del socialismo, nell’accezione più vasta e pregnante del termine. Da allora, nessuna deviazione socialista è più stata consentita.

Tali sviluppi non sorpresero gli intellettuali marxisti più autorevoli che da anni (come Trotsky) criticavano la dottrina leninista perché prevedeva un’autorità centralizzata, interamente nelle mani del Partito “d’avanguardia” e dei suoi leader. In effetti, alcuni decenni prima, il filosofo anarchico Bakùnin aveva predetto che la classe emergente degli intellettuali aveva davanti a sé due strade: o avrebbe potuto cercare di sfruttare le lotte popolari per prendere il potere, trasformandosi quindi in una brutale e oppressiva «burocrazia rossa”; oppure, se la rivoluzione fosse fallita, gli intellettuali stessi sarebbero potuti diventare i manager e gli ideologi di società basate sul capitalismo di stato. In entrambi i casi, si trattava di una previsione lungimirante ed acuta.

Non erano molte le cose su cui concordavano i due sistemi di propaganda più imponenti del mondo, ma una di queste era l’uso del termine “socialismo” in riferimento ad una realtà determinatasi in seguito alla distruzione di importanti elementi di socialismo da parte dei bolscevichi. Ciò non sorprende troppo. 1 bolscevichi da parte loro, chiamando, “socialista” il loro sistema sfruttarono il prestigio morale di cui il socialismo godeva.

L’Occidente usò il termine allo stesso modo per il motivo opposto: diffamare gli ideali libertari accomunandoli alla repressione sovietica, minando la fiducia che il popolo riponeva nell’idea di un possibile progresso verso una società più giusta, dove ci fosse un controllo democratico sulle istituzioni e ci si preoccupasse dei bisogni e dei diritti dell’uomo.

Se socialismo è la dittatura di Lenin o di Stalin, allora la gente di buon senso dirà “no, grazie”. E se è questo socialismo la sola alternativa al capitalismo industriale di stato, allora molti si sottometteranno alle strutture autoritarie del secondo, in quanto rappresentano l’unica scelta ragionevole.

Con il crollo del sistema sovietico, si presenta oggi l’opportunità di far rinascere il vivace e vigoroso pensiero socialista libertario, che non aveva saputo resistere agli assalti dottrinali e repressivi dei maggiori sistemi di potere. Quante speranze si possano riporre in tale opportunità, non è dato sapere. Ma se non altro è stato rimosso uno degli ostacoli; in tal senso, possiamo dire che dal punto di vista storico la scomparsa dell’Unione Sovietica rappresenta oggi per il socialismo un piccolo successo, pari all’incirca agli esiti della II guerra mondiale.

I media

dal libro “I cortili dello zio Sam” di Noam Chomsky

Sia che si definiscano “liberal” oppure “conservatori”, i principali media sono grandi aziende, possedute da (e strettamente legate a) società ancor più grandi. Come altre imprese, vendono un prodotto a un mercato. Il mercato è quello della pubblicità, cioè di un altro giro d’affari. Il prodotto è l’audience. I media più importanti, quelli che stabiliscono le priorità a cui gli altri devono adattarsi, vantano un prodotto in più: quello di un pubblico relativamente privilegiato.

Abbiamo quindi delle grandi imprese che vendono un pubblico piuttosto benestante e privilegiato ad altre imprese. Non stupisce che l’immagine del mondo che esse presentano rifletta gli interessi ed i valori ristretti dei venditori, degli acquirenti e del prodotto.

Altri fattori intervengono a rafforzare questa stortura. I manager culturali (direttori, autorevoli editorialisti, eccetera) condividono interessi e legami di classe con i loro omologhi nello stato, nel mondo degli affari e negli altri settori privilegiati. Infatti, tra le grandi imprese, il governo e i media si verifica un continuo interscambio di personalità ai più alti livelli. La facilità di accesso alle massime autorità dello stato è fondamentale per poter conservare una posizione competitiva; le “soffiate” o le “indiscrezioni”, per esempio, sono spesso invenzioni o distorsioni fabbricate dalle autorità con la collaborazione dei media, che fanno finta di non conoscerne l’origine.

In cambio, le autorità dello stato esigono cooperazione e sottomissione. Anche gli altri centri di potere hanno i loro strumenti per punire le deviazioni dall’ortodossia: metodi che possono servirsi del mercato azionario o anche di un vero e proprio sistema di calunnia e diffamazione.

E risultato, com’è ovvio, non è perfettamente uniforme. Per essere funzionali agli interessi del potere, il panorama mondiale che i media sono chiamati a rappresentare deve essere abbastanza realistico. E talora l’integrità e l’onestà professionale interferiscono con la missione suprema. I migliori fra i giornalisti sono, di solito, abbastanza consapevoli dei fattori che danno forma al prodotto dei media, e cercano di sfruttare tutte le aperture che trovano. Ne consegue che si può imparare molto da una lettura critica e scettica di quanto prodotto dai media.

I mass media sono solo uno degli elementi del più vasto sistema dottrinale: ne fanno parte anche i giornali di opinione, le scuole, le università, gli studi accademici eccetera. Oggi siamo particolarmente consapevoli del ruolo dei media, soprattutto di quelli più prestigiosi, perché essi sono stati esaminati diffusamente da coloro che analizzano criticamente le ideologie. Il sistema nel suo complesso non è stato altrettanto studiato perché è difficile fare una ricerca sistematica. Ma ci sono ottime ragioni per ritenere che esso rappresenti gli stessi interessi dei media, come è lecito aspettarsi.

Il sistema dottrinale, che produce quella che viene chiamata “propaganda”, quando la fanno i nostri nemici, mira a colpire due diversi bersagli. E primo viene talvolta chiamato “classe politica”: quel 20% circa di popolazione relativamente istruita, più o meno articolata, che svolge un qualche ruolo nel meccanismo decisionale. Che costoro accettino la dottrina è vitale, perché occupano una posizione tale da poter definire le direttive e l’attuazione dell’azione politica.

Poi c’è il restante 80% circa della popolazione. Sono i “semplici spettatori” di Lippman, di cui egli parla come del «gregge disorientato». Da loro ci si aspetta che obbediscano agli ordini e si tengano fuori dai piedi della gente importante. Sono il bersaglio degli autentici mass media: i giornali popolari, le situation comedy, il Super Bowl, eccetera.

Questi settori del sistema dottrinale servono a distrarre il popolo ancora grezzo ed a rafforzare i valori sociali fondamentali: la passività, la sottomissione all’autorità, la virtù suprema dell’avidità e del profitto personale, l’indifferenza verso gli altri, il timore dei nemici, reali o immaginari, eccetera. Lo scopo è di fare in modo che il gregge disorientato continui a non orientarsi. Non è necessario che si preoccupino di quel che accade nel mondo. Anzi, non è desiderabile: se dovessero vedere troppo della realtà, potrebbero farsi venire in mente di cambiarla.

Ciò non significa che i media non possano farsi influenzare dalla società civile. Le istituzioni dominanti ‑ politiche, economiche o dottrinali che siano ‑ non sono immuni dalle pressioni esercitate dall’opinione pubblica. Anche i media indipendenti (alternativi) possono svolgere un ruolo importante. Sebbene dotati (per definizione) di scarse risorse, acquistano importanza allo stesso modo delle organizzazioni popolari: unendo le persone con risorse limitate che, interagendo tra loro, possono moltiplicare la loro efficacia e la loro comprensione ‑ il che costituisce esattamente quella minaccia democratica tanto temuta dalle élite dominanti.

Saggio

“I cortili dello Zio Sam”

di Noam Chomsky

Editore: Gamberetti