Tre domande per l’OMS
Forse le aspettative nei confronti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità erano troppo alte. Altrimenti non ci saremmo fidati nel sentire le notizie del virus in arrivo dalla Cina e nel notare come l’OMS non sembrasse così preoccupata.
Mi lasciano però perplesso le recenti dichiarazioni dell’OMS che ha elogiato pubblicamente gli svedesi per avere affrontato la pandemia senza mai chiudersi in casa, dopo aver invece intimato a noi per due mesi di tenere il comportamento esattamente contrario.
Ricapitoliamo: il 17 marzo l’OMS ha elogiato l’Italia sulle misure adottate e il 29 aprile l’OMS ha elogiato la Svezia per le misure quasi opposte.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato a New Scientist che non esiste ancora una strategia globale e che per il momento l’organizzazione è ancora concentrata sulla risposta al virus. Sembra che Tedros Adhanom Ghebreyesus[1], direttore generale dell’OMS[2], non abbia le idee molto chiare…
Ricordo che Ghebreyesus, ex ministro della salute dell’Etiopia[3] eletto a capo dell’Oms con il sostegno cinese, a gennaio è stato criticato per aver elogiato Pechino mentre la situazione in Cina era fuori controllo.
Non è certo mia intenzione screditare questa organizzazione molto importante a livello internazionale[4], perché l’Oms aveva predetto esattamente quello che sta succedendo oggi. All’inizio del 2018 l’Oms aveva inserito una “malattia X” nella lista delle patologie che avrebbero potuto provocare un “pericolo internazionale”. Aveva previsto che la malattia X sarebbe stata probabilmente il risultato di un virus di origine animale e sarebbe emersa in qualche parte nel mondo dove lo sviluppo economico avvicina gli esseri umani e la fauna. La malattia X si sarebbe diffusa rapidamente e in silenzio, sfruttando le reti di trasporto e di commercio, e una volta arrivata in diversi paesi, sarebbe stato difficile contenerla. In altre parole la malattia X è il Covid-19.
Sorprende quindi anche l’assoluta impreparazione degli stati, perché è bene ricordare che l’Oms è prima di tutto il risultato di quello che ne hanno fatto i 194 stati che la compongono.
Detto questo è necessario però vagliare bene eventuali errori di questa organizzazione per capire come migliorarla. Evidentemente, se ci troviamo in questa situazione, qualcosa è andato storto.
Forse è per una mancanza di reattività e di autonomia, probabilmente non sono stati utilizzati i mezzi per individuare, allertare e informare, forse è mancata la capacità normativa.
Certo è che l’Oms si è ritrovata al centro di polemiche anche in altre occasioni:
- nel 2003 fu accusata di aver sottovalutato la diffusione della Sars;
- tra il 2008 e il 2009 fu bersaglio di critiche per aver reagito in modo spropositato alla pandemia di influenza H1N1;
- tra il 2013 e il 2015 non si rese conto del pericolo della pandemia di ebola in Africa occidentale. L’Oms ci mise cinque mesi a dichiarare “un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”.
Charles Clift, ex consulente dell’organizzazione, ha pubblicato un rapporto molto critico nei confronti dell’Oms: “troppo politicizzata, troppo burocratica, male organizzata, troppo timida quando si tratta di affrontare situazioni delicate e troppo lenta ad adattarsi”. Ambiguità, disorganizzazione, lentezze che sembrano essersi manifestate anche con il Covid-19.
Il 14 gennaio l’Oms dichiarava che “in base alle prime inchieste fatte dalle autorità cinesi non ci sono prove chiare di una trasmissione tra gli esseri umani”. Ma i primi studi pubblicati dai medici cinesi e le informazioni provenienti da Wuhan non lasciavano dubbi sul fatto che la malattia si trasmettesse tra gli esseri umani. Perché l’Oms riprendeva passivamente le dichiarazioni delle autorità cinesi?
Perché ha atteso fino all’11 marzo per dichiarare lo stato di pandemia?
Inoltre il 28 gennaio Ghebreyesus si è recato nella capitale cinese per incontrare Xi Jinping dichiarando: “Apprezziamo la serietà con cui il vostro paese affronta questa epidemia e in particolare l’impegno dei suoi dirigenti e la trasparenza che hanno dimostrato”. Perché neanche una parola sui medici che avevano lanciato l’allarme, sui rapporti censurati e sui giornalisti perseguitati?
L’occidente – gli Stati Uniti e i paesi europei per primi – scoprono di aver perso terreno in molte organizzazioni internazionali, spesso trascurate se non denigrate. A lungo l’Oms è stata considerata l’agenzia sanitaria dei paesi poveri del sud del mondo. Ma il Covid-19 ricorda all’occidente che la sua negligenza o la sua ostilità a un multilateralismo efficace hanno oggi un prezzo politico, sanitario ed economico.
È fondamentale che l’Organizzazione Mondiale della Sanità funzioni correttamente perché la salute è un bene comune globale. Con la pandemia del Covid-19 è emerso chiaramente che è impossibile tutelare la salute dei cittadini all’interno dei confini nazionali. Le persone viaggiano, le frontiere sono permeabili e dunque o siamo tutti al sicuro oppure nessuno lo è. Per dirla come Papa Francesco “nessuno si salva da solo”.
Non è vero inoltre che il virus sia democratico e che colpisca tutti allo stesso modo: in Italia ci sono 12,5 letti di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti, in Inghilterra 6,6, nelle Filippine 2,2 e in Bangladesh 0,7.
L’efficacia del sistema di protezione sanitario mondiale è definito dalla qualità di protezione garantito ai più deboli. L’Oms è stata creata anche per questo.
[1] Primo africano eletto a capo dell’Oms, aveva subito accolto la richiesta cinese di sopprimere lo status di osservatore di Taiwan, riconoscendo il principio di “una sola Cina”. Da allora il conflitto tra Taiwan e l’Oms è ricorrente. E’ bene ricordare che Taiwan ha uno dei migliori sistemi sanitari del mondo, è alle porte della Cina e ha gestito in modo molto efficace la crisi del Covid-19.
[2] Agenzia creata nel 1948 con settemila dipendenti e un bilancio di 4,4 miliardi di dollari.
[3] La Cina è la prima fonte d’investimenti esteri e il primo partner commerciale dell’Etiopia.
[4] L’Oms è protagonista fondamentale della sanità pubblica, indispensabile soprattutto per i paesi più poveri.