Il senatore, il principe e il patto di Abramo
Anche la settimana scorsa al
Senato, nella sua requisitoria
anti-Conte, Matteo Renzi
non aveva mancato di esaltare
gli “accordi impressionanti nel
mondo arabo” conseguiti nel summit
di Al-Ula da Mohammed bin
Salman. Un omaggio preventivo al
“grande principe ereditario” s audita
che si apprestava a vezzeggiare
di persona a Riyad, con toni apologetici.
In effetti quel raduno
delle petromonarchie sunnite del
Golfo, revocando l’embargo imposto
al Qatar, chiudeva felicemente
il triangolo delle amicizie mediorientali
di Renzi: l’israeliano Netanyahu,
l’emiro qatarino Al-Thani e
la dinastia regnante sulla Mecca.
Un accordo propiziato da Trump
demolendo la politica distensiva di
Obama, garantito dal riarmo di
regimi ferocemente reazionari e
fondato sulla supremazia della finanza.
Ma questo per Renzi e i suoi
consiglieri è solo un dettaglio trascurabile.
Conta di più la propensione
agli affari sviluppata al tempo
del suo governo, spaziando dalle
compagnie aeree all’e s p or t a z i o n e
di armi, dai giacimenti di gas alla
cybersecurity in cui gli ha fatto da
battistrada il fido Marco Carrai.
“Gli 80 mila euro percepiti per
sedere nel board della Future Investment
Initiative? Sono spiccioli
rispetto a ciò che Renzi potrebbe
guadagnare se anteponesse il denaro
al potere”, mi spiega un uomo
della finanza milanese. Nel cosiddetto
Patto di Abramo sottoscritto
da Israele con gli Emirati e incoraggiato
dall’Arabia Saudita,
Renzi aspira a ritagliarsi il suo
piccolo spazio. Ci lavora fin da
quando era primo ministro e instaurò
un solido rapporto col leader
della destra israeliana, facendo
tesoro delle entrature dell’a l lo ra
corrispondente de La Stampa a Gerusalemme,
Maurizio Molinari.
Una politica estera “in proprio”che
lo ha portato sempre più spesso anche
nel Golfo, dove cercava ristoro
anche per le sorti di Monte dei Paschi
e della Roma.
Il record di condanne a morte
per decapitazione? La legislazione
che sottomette le donne? I diritti umani
calpestati? Bazzecole di fronte
all’opportunità di sedere tra i
vincenti. Meglio Trump di Obama,
quando si tratta di investimenti. E
del resto, come si è visto, qualche
spicciolo in tasca da lì te ne verrà.