martedì 22 Ottobre 2024
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Cosa accade in Sudan

Dal 15 aprile 2023, in quattro giorni di combattimenti tra l’esercito sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), sono state uccise almeno 270 persone e altre 2600 sono rimaste ferite, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità pubblicate il 19 aprile. In migliaia hanno abbandonato la capitale Khartoum dopo giorni di bombardamenti aerei e battaglie per le strade. Chi vive nella capitale deve fare i conti con interruzioni frequenti dell’elettricità e dell’acqua corrente, mentre molti ragazzi e ragazze sono rimasti bloccati nelle università e nelle scuole. 39 dei 59 ospedali di Khartoum e delle regioni vicine hanno dovuto chiudere. Il 18 aprile c’è stato un tentativo di imporre un cessate il fuoco, ma è stato subito violato.

Almeno 10.000 civili in fuga dai combattimenti, fonti citate dall’agenzia Reuters riferiscono che circa 6.500 hanno attraversato il confine. Parecchi sono sud sudanesi scappati negli anni passati dagli scontri armati nel loro paese – il Sudan ospita 800.000 profughi sud sudanesi – e che ora tornano indietro. Altri sono eritrei, kenioti, ugandesi e somali. Inoltre, migliaia di persone, famiglie intere, starebbero cercando di passare il confine della regione del Darfur verso il Ciad, l’Egitto, l’Etiopia, la Repubblica Centrafricana e la Libia, paesi che già risentono delle conseguenze causate dai loro sconvolgimenti politici ed economici interni.
Migliaia di stranieri, in maggioranza diplomatici e operatori umanitari dell’Onu e delle Ong stanno lasciando il Sudan grazie all’intervento dei loro governi e di reparti speciali delle loro forze armate. Resta in Sudan gran parte del personale di Emergency che gestisce tre ospedali destinati a diventare fondamentali se si tiene conto che almeno i due terzi delle strutture sanitarie sudanesi non sono più operative a causa di bombardamenti e scontri a fuoco.

Questo perché il 15 aprile 2023 è scoppiata una guerra tra l’esercito regolare del Sudan, guidato dal generale Abdel Fattah al Burhan, e le Forze di supporto rapido (Rsf) del comandate Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti. E’ un fatto molto grave, un passo verso la distruzione dello stato sudanese, che espone dei civili innocenti alla furia di un conflitto sanguinoso.

Quella a cui assistiamo è una lotta che minaccia la sicurezza e la stabilità del Sudan, e che scatena contro i suoi abitanti la forza distruttrice di una competizione per il potere tra un gruppo d’islamisti corrotti, respinti dalle masse sudanesi con una rivoluzione popolare, e una milizia, le Rsf, che loro stessi avevano creato.

La questione più urgente è mettere fine alle violenze per proteggere la vita e le proprietà delle presone. In seguito, si dovrà riprendere il processo democratico cercando, allo stesso tempo, di rimediare al problema della coesistenza di esercito e milizie, all’interno di un progetto nazionale condiviso su solide basi costituzionali e legali. Qualsiasi progetto di transizione democratica in Sudan deve avere come presupposto l’unificazione delle forze armate. Ma un obiettivo così importante non può essere portato avanti da generali che vogliono solo impadronirsi del potere.

Da mesi il generale al Burhan e Hemetti conducono una guerra nascosta per il controllo di questo paese di 46 milioni di abitanti. Da un lato Hemetti, che negli ultimi anni, attraverso le Rsf è arrivato a guidare un impero economico con il sostegno degli Emirati Arabi Uniti, cerca di presentarsi come il difensore della democrazia e di far dimenticare il suo passato di comandante janjaweed (i miliziani filogovernativi attivi all’epoca della guerra in Darfur, vent’anni fa).
Dall’altra parte ci sono gli islamisti nell’esercito, che da anni fanno pressioni su Al Burhan perché si sbarazzi di Hemetti.

La firma, il 5 dicembre 2022, di un accordo di principio tra i generali e una coalizione di organizzazioni della società civile, riunite nelle Forze perla libertà e il cambiamento, era stata accolta dalla comunità internazionale coma une tappa decisiva verso il ritorno della democrazia. Un processo che era cominciato nel 2019, dopo la caduta della dittatura di Omar al Bashir, ma era stato interrotto da un colpo di stato, il 25 ottobre 2021, orchestrato dal generale Al Burhan e da Hemetti. Prima di combattersi, i due militari avevano sempre agito insieme per schiacciare ogni velleità democratica dei sudanesi. Il 3 giugno 2019 avevano massacrato i manifestanti che partecipavano a un sit-in pacifico davanti al quartier generale dell’esercito, causando più di 120 morti, secondo le stime del comitato dei medici sudanesi. Successivamente avevano represso le manifestazioni settimanali per la democrazia, causando la morte di altre 120 persone.

La natura senza precedenti di questo conflitto potrebbe causare una crisi dei profughi mai vista nella storia del Sudan, oltre che alimentare l’odio tribale ed etnico, e indebolire le aspirazioni democratiche sudanesi.