Il disastro annunciato di Gaza
Le
Nazioni Unite e Amnesty International hanno denunciato la criticità
del sistema idrico a Gaza, complice lo stato di Israele che chiude i
rubinetti dell’acqua e impedisce ai palestinesi di importare nella
Striscia materiali fondamentali per il mantenimento degli impianti.
Nel
rapporto di 112 pagine l’associazione in difesa dei diritti umani
pubblica i dati che denunciano la drammatica situazione: la
popolazione palestinese ha a disposizione, in media, 70 litri di
acqua al giorno pro capite (con picchi minimi di 20 litri) contro la
media dei 300 litri in Israele. L’80% dell’acqua del Giordano, che
teoricamente dovrebbe essere condivisa da Israele e Palestina, è nei
fatti utilizzata unicamente dagli israeliani.
Il quotidiano “Il Manifesto”, spiega le conseguenze di
questa politica segregazionista: “La depurazione delle acque è
virtualmente nulla, le piscine di decantazione da dove l’acqua
purificata dovrebbe filtrare nella sabbia di Gaza per tornare ad
arricchire le falde, sono piene di liquami non trattati che inquinano
le riserve idriche. Riserve sempre più esigue: dopo anni di siccità
e di pozzi scavati un po’ ovunque per pescare qualche goccia
d’acqua, secondo il programma ambientale Onu oggi si preleva tre
volte l’acqua che naturalmente si deposita nelle falde. La
conseguenza: scende il livello delle falde e l’acqua del mare le
invade.
Un
disastro annunciato, tanto che ormai si calcola che solo il 5-10 per
cento dell’acqua dei pozzi di Gaza risponda ai parametri indicati
dall’Organizzazione mondiale della sanità, anche dopo il
trattamento con il cloro. Per i palestinesi un’ulteriore compressione
dei diritti. Con una popolazione che al 70 per cento vive con meno di
un dollaro al giorno – soglia ufficiale di povertà – una gran parte
delle risorse viene utilizzata per acquistare acqua potabile dagli
impianti privati di desalinizzazione”.