Rapporto Undp: Gaza ancora sotto le macerie
Pubblichiamo
un articolo dellaredazione di
Nena News: 18 mesi dopo Piombo Fuso, i 3/4 delle infrastrutture
danneggiate a Gaza rimangono in macerie. La causa e’ l’embargo
israeliano. E se una modesta ripresa c’è stata, lo si deve alla
creatività dei palestinesi.
Passato
Erez, il valico di confine fortificato che divide Israele dalla
Striscia di Gaza, decine e decine di officine producono blocchi di
materiale da costruzione assemblando le macerie rimaste sul terreno
con il cemento proveniente dai tunnel sotterranei con l’Egitto. I
blocchi vengono poi caricati su vecchi e scassati camion e più
spesso muli e destinati a riparare gli edifici danneggiati di Gaza.
E’ anche grazie a questa creativa e ingegnosa industria di riuso e
riciclo che la popolazione di Gaza e’ riuscita a riparare circa il
25% delle infrastrutture danneggiate tra la fine del dicembre 2008 e
l’inizio del 2009 dalle aggressioni militari condotte da Israele.
E’ quello che emerge da un rapporto redatto da UNDP in
collaborazione con EMCC (Engineering and Management Consulting
Center, con base a Gaza), che traccia un primo bilancio della ripresa
economica di Gaza e dei bisogni della popolazione, 18 mesi dopo
Operazione Piombo Fuso.
Secondo
le Nazioni Unite, circa 400 camion carichi di materiali da
costruzione sono entrati a Gaza negli ultimi 4 mesi, cosa che ha
permesso di terminare la costruzione di un impianto per il
trattamento delle acque reflue a Rafah e di ricostruire 150 case, che
erano complete quasi all’80%. Ma la denuncia delle NU e’ che
quanto fatto finora non e’ assolutamente sufficiente a coprire i
bisogni di base della popolazione e che anche considerando il cemento
importato attraverso i tunnel, i materiali che entrano a Gaza non
riescono a soddisfare tutti i lavori che sarebbero necessari per la
ricostruzione dei danni provocati da Israele. L’embargo di Gaza,
alleggerito da Israele in misura minima in seguito alle drammatiche
vicende della Freedom Flottilla e alle pressioni della comunità
internazionale, resta ferreo sui materiali da costruzione, cemento,
plastica, vetro, acciaio. Con la conseguenza che tre quarti delle
infrastrutture rimangono danneggiate e semidistrutte sul terreno:
scuole, abitazioni, ospedali.
Servirebbero
circa 527 milioni di dollari per far tornare Gaza come era prima di
Operazione Piombo Fuso, una cifra irrisoria rispetto a quella che
occorrerebbe per sanare il degrado delle infrastrutture pubbliche e
private generato da quattro anni di embargo, dice UNDP. Un embargo
che ha portato il tasso di disoccupazione di Gaza tra i più elevati
al mondo.
Ad
un esame più attento, UNDP mette in luce che sono proprio le
strutture rimaste in macerie quelle che occorrerebbe immediatamente
ricostruire per soddisfare i più elementari bisogni della
popolazione civile di Gaza.
Quasi
nessuna delle 3.425 abitazioni distrutte dagli attacchi israeliani e’
stata ricostruita, lasciando per strada 20.000 palestinesi. Solo il
17,5% delle strutture destinate all’educazione (università,
scuole, centri educativi) sono attualmente funzionanti. Per non
parlare del sistema di approvvigionamento dell’elettricità, attivo
solo per meta’ e del sistema di trasporto pubblico, totalmente
distrutto e la cui ricostruzione non e’ mai stata iniziata.
La
ristrutturazione degli ospedali Al Wafa e Al Quds e’ stata
rimandata per mesi a causa della mancanza dei materiali e i lavori
sono iniziati solo a febbraio del 2010. Già la Croce Rossa
Internazionale aveva denunciato a meta’ giugno la drammatica
situazione delle infrastrutture medico – sanitarie, che subiscono
tagli giornalieri all’elettricità di oltre 7 ore, con conseguenze
devastanti per il primo pronto soccorso.
Nel
settore privato la situazione non e’ certo migliore: solo un quarto
della terra agricola e’ stata riabilitata, solo il 40% del settore
privato e’ tornato attivo, mentre l’industria della pesca rimane
economicamente distrutta dalle restrizioni di navigazione imposte
dalle autorità israeliane ai pescatori di Gaza
Una
lenta e minima ripresa c’è stata e si e’ avuta grazie al commercio
sotterraneo assicurato dai tunnel con l’Egitto e grazie alla
presenza di attori internazionali e ONG, che in molti casi pero’ si
sono astenuti dall’utilizzare materiali entrati per certo
attraverso i tunnel, cosa che ha limitato il raggio di azione nel
processo di ricostruzione. I veri sforzi ripresa delle attività,
qualora sono stati possibili, li si deve principalmente alla
capacita’ di adattamento e alla creatività della popolazione di
Gaza. Questo forse il dato più interessante del rapporto UNDP.
I
Gazawi hanno infatti massimizzato l’uso delle esigue risorse
locali, sperimentando soluzioni locali e adattandole alle difficili
condizioni imposte dall’embargo. Riparazioni di edifici con le
macerie delle strutture distrutte, alternative locali ai pesticidi
(non ammessi da Israele), riciclo di macerie mescolate al cemento
importato dai tunnel. Le compagnie di telecomunicazione e fornitura
di elettricità hanno riparato il sistema elettrico danneggiato con i
pochi pezzi di ricambio disponibili, spesso con metodologie creative
e soluzioni non proprio ortodosse.