giovedì 30 Novembre 2023
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Centrali nucleari: niente sfoggio per Berlusconi… e tutto per merito di 3 Regioni.

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Umbria, Emilia
Romagna e Toscana. Queste le regioni che, oltre alla Provincia
autonoma di Trento, hanno fatto ricorso presso la Corte
costituzionale affinché venissero dichiarati costituzionalmente
illegittimi i commi del decreto legge 78/2009 che affidavano al
Governo il diritto di imporre i siti nucleari.

Nel
luglio del 2009 il Ministro Scajola e Berlusconi invocavano
l’esercito: “I siti nucleari saranno considerati di interesse
strategico per il Paese. Se non ci sarà la condivisione, il Governo
potrà in via eccezionale utilizzare strumenti sostitutivi previsti
dalla Costituzione a difesa dell’interesse generale del Paese
”.
La Corte costituzionale ha invece dichiarato, con sentenza del giugno
di quest’anno, che le norme governative contrastano con gli
articoli 117 (competenze dello Stato) e 118 della Costituzione
(art. 118:Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni
salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a
Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza
).
Predominante nella sentenza il giudizio sugli
attori principali dell’impresa nucleare: gli investitori privati.
Già era stato espressa dal Governo l’intenzione di coinvolgere
grandi gruppi industriali sia italiani, che francesi che Usa. Ma la
Corte ha difeso l’interesse pubblico: “è
agevole osservare che, trattandosi di iniziative di rilievo
strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione
diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere
medesime.


Si aggiunga che la previsione, secondo cui la realizzazione degli
interventi è affidata ai privati, rende l’intervento legislativo
statale anche sproporzionato. Se, infatti, le presunte ragioni
dell’urgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso
Stato, per esigenze di esercizio unitario, a doversi occupare
dell’esecuzione immediata delle opere, non c’è motivo di
sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli
interventi”.

Così ciò che
non è stato possibile evitare con la Campania riguardo i rifiuti,
l’uso dell’urgenza per abbattere i processi decisionali
democratici, è fallito con la previsione dei siti nucleari.

La nostra
Regione, troppo impegnata a diffondere nel mondo l’immagine di
Dustin Hoffman, non ha partecipato al ricorso pur fregiandosi della
fama di regione “denuclearizzata”, e pur essendo previsto a San
Benedetto in provincia di Ascoli Piceno uno dei siti.
Del resto,
a proposito di partecipazione democratica dei cittadini al processi
decisionali in materia di ambiente e salute, un pool di comi ha
chiesto nel febbraio di quest’anno importanti modifiche ad un
disegno di legge regionale 367/10 sulla Via -Valutazione di impatto
ambientale che altrimenti avrebbe messo in dubbio la consultazione
dei cittadini nei procedimenti.

Il Coordinamento
dei comi inoltre si è adoperato contro provvedimenti antidemocratici
simili, quali le “riperimetrazioni” arbitrarie delle Zone a
protezione ambientale effettuate dalla Regione (delibera 1868/2009)
con effetti autorizzativi per il futuro di attività dannose alla
sussistenza di preziosi ecosistemi, risorse ambientali non
replicabili.

Se consideriamo
anche la tendenza legislativa regionale (disegno 269/2008) che spinge
sulla soluzione Grandi Holdings per la gestione dei rifiuti, e
liberalizza l’incenerimento di questi su base provinciale,
otteniamo uno scenario inquietante, nel quale a gestire e a creare
politiche del territorio e bisogni dei cittadini sono i magnati della
finanza ed i grandi gruppi industriali. Sancendo così il passaggio
dal capitalismo tradizionale di marxiana memoria (lo sfruttamento
della forza lavoro) a quello moderno che sfrutta anche i bisogni ed i
corpi (leggi “biopolitica”).

Tornando
all’energia, ripetiamo quanto detto: la regione Marche ha un
deficit energetico di circa 455 MW elettrici. Attualmente sono in
iter approvativo impianti per un totale di 3010 Megawatt, oltre sei
volte il necessario! A questi si affiancano grandi opere per il
trasporto dell’energia, a scopo evidente di commercializzare il
prodotto di impianti fortemente nocivi per la salute ed il
territorio. Se uniamo a questa strategia le grandi opere di viarie, a
misura delle esigenze dei gruppi industriali preminenti, e l’edilizia
sanitaria selvaggia (priva di fondamenti strategici che si basino su
necessità censite ed epidemiologicamente ragionate), abbiamo un
quadro devastato anche della politica: i cittadini sono solo numeri
elettorali e piccoli gruppi manipolabili. E soprattutto fonti di
bisogni che li rendono ricattabili e sfruttabili all’infinito, se
necessario con la creazione di emergenze.

Se, lavorando
come comi trasversali ai partiti tradizionali, abbiamo dimostrato di
non essere dei “comi del no” ma dei “comi per i sì”, sì a
politiche differenti che producano benessere per tutti, la strada è
ancora lunga. Innanzitutto perché l’esempio del nucleare ci mostra
come sia fragile la linea delle possibilità di difesa, e come il
baratro della “legge marziale”, dell’eccezionalità che ammette
il fucile, dell’emergenza che approva il manganello, sia sempre
dietro l’angolo.

In secondo luogo
perché l’ambientalismo mostra come non mai necessità di nuova
analisi, per dar vita a nuove proposte che coniughino alternative
economiche reali e precise, a una cultura dell’azione collettiva
partecipata, il più possibile priva di leaderismi, non influenzata
da interessi partitici (come nel caso dei formidabili comi per
l’acqua pubblica del Forum nazionale che hanno evitato le manovre
accentratrici di Idv), ma multicolore e non anonima e non digiuna
delle culture politiche legate all’ambientalismo. Per cambiare
strada all’economia e alla politica occorre uscire dalle nostre
virtuose nicchie individuali e pestare con forza i piedi ai poteri
forti.