mercoledì 11 Settembre 2024
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Malasanità in provincia di Pesaro

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Abbiamo
ricevuto la segnalazione di un episodio di malasanità da parte del
signor Elio Tacconi, 61 anni, di Mondavio (PU). Per approfondire la
vicenda, abbiamo parlato direttamente con l’interessato.

Signor
Elio, potrebbe raccontarci che cosa le è successo?

Domenica
9 agosto ho dovuto ricorrere, mio malgrado, alle cure del 118 perché
sono stato colpito da sindrome coronarica acuta.
Intorno
alle ore 17.25 avverto un dolore tra il petto ed il collo che si
estende alle braccia ed alla mandibola. Mi trovo a non più di cento
metri dalla sede della Guardia Medica di Mondavio e decido di
avviarmi a piedi.
Mi
riceve un medico, non ne conosco il nome, so solo che è Siriano.
Mi
fa sedere, giusto il tempo di farmi un paio di domande, alle quali
rispondo a monosillabi per il dolore, che ha già il telefono in mano
e chiama il 118. Sono le 17.34, il dolore si è fatto più intenso,
quasi insopportabile, il dottore mi fa sdraiare su di una lettiga e
mi somministra una pastiglia da mettere sotto la lingua ed
un’aspirina da 500mg.
Cerca
di tranquillizzarmi, mi avverte che nel giro di un quarto d’ora,
massimo 18 minuti l’ambulanza sarà lì. Mi infila una cannula nel
braccio per agevolare, dice, il lavoro del 118.
Guarda
e riguarda l’orologio, controlla l’ora della chiamata, 17.34, ma
dell’ambulanza nemmeno l’ombra.
Il
medico comincia a dare segni di nervosismo, fa “accomodare”
fuori dall’ufficio-ambulatorio mia moglie che si lamentava che avevo
le mani gelate e gli chiedeva di fare qualcosa.
Ora
il dolore pur rimanendo forte sembra attenuarsi.
Verso
le 18.05 si sente il rumore indistinto di un mezzo in transito.
Il
medico si precipita fuori, si sentono delle urla. Mia moglie mi
avvisa che si tratta dell’ambulanza, arrivata senza sirena né
lampeggiante accesi. Per errore però l’equipaggio ha proseguito, per
fortuna se ne sono accorti: il tempo di percorrere a marcia indietro
un tratto di strada che è a senso unico e potranno prestarmi le
cure.

Vuol
dire che lei ha atteso l’intervento dell’ambulanza per più di
mezzora e nonostante la chiamata provenisse da una guardia medica, e
che l’equipaggio ha “mancato” l’ambulatorio pur essendoci passato
davanti?

Si,
ho praticamente atteso l’ambulanza per 35 minuti. Dopo aver superato
l’ambulatorio, sono arrivati in piazza a Mondavio e da lì sono poi
tornati indietro.
Finalmente
sono nelle mani, bontà loro, della ”equipe” medica del 118.
Mi
praticano subito un elettrocardiogramma e siccome l’esame da esito
negativo, la dottoressa ha una fenomenale intuizione: non ho nulla o
quasi.
Mi
viene assegnato il codice giallo 2, vengo fatto salire sull’ambulanza
che si avvia, così come era arrivata, a sirena e lampeggiante
spento, molto lentamente, verso Fano, che dista da Mondavio poco più
di venti chilometri.
Il
viaggio verso l’ospedale, se non fosse stato doloroso per me, sarebbe
stata un’autentica scampagnata. Passiamo per un percorso secondario,
Orciano, San Giorgio, Piagge, Cerbara e giù giù fino a Fano, tutto
rigorosamente ai 30 all’ora. Ci mancava solo che intonassero “Quel
Mazzolin Di Fiori”.
Finalmente
alle 19.10 sono al Pronto Soccorso dell’Ospedale Santa Croce di Fano.
Tiro
un sospiro di sollievo.
Mi
accoglie un medico che seduto ad una scrivania, senza nemmeno
voltarsi verso di me brontola: “Ma li mandano tutti qua! Perché
non li portano a Fossombrone!”
Inutile
dire che ci rimango malissimo.
Per
fortuna l’infermiere, uno spagnolo, è gentilissimo, mi fa un
prelievo da un polso, un elettrocardiogramma e mi parcheggia in un
locale sovraffollato che assomiglia ad una sala d’aspetto ferroviaria
di terza classe.
Nel
frattempo il dolore è invariato ma sopportabile.
Alle
22 circa mi sfilano la flebo ormai esaurita e mi avvertono che mi
faranno un prelievo a mezzanotte, poi mi rispediranno a casa.
Alle
0.15 mi fanno il prelievo e mi avvertono che dovrò attendere perché
il laboratorio è intasato.
Alle
0.30 mi fanno sedere su di una sedia a rotelle e mi portano a fare
una radiografia al torace. Faccio la radiografia, attendo una ventina
di minuti e da un ufficio si affaccia un medico con una cartella in
mano che dice: – Tacconi tenga, la porti al pronto soccorso. –
Gli
rispondo: – Vado a piedi? – E il medico di rimando – E come vuole
andare? –
Mi
incammino e consegno la cartella. Dovrò attendere l’esito degli
esami del sangue e poi a casa.
Passano
pochi minuti e sento una voce alle spalle: – Tacconi stia fermo, non
si muova, si distenda. Gli enzimi si sono mossi, la ricoveriamo. –
Sono
circa le 1.30 del giorno dopo e finalmente posso avvalermi delle cure
del reparto di terapia intensiva.
L’indomani,
martedì 11 agosto, mi trasportano all’ospedale San Salvatore di
Pesaro per fare una coronografia, dato che a Fano non hanno il
macchinario necessario. A Pesaro la dottoressa Uguccioni mi comunica
che la coronaria destra prossimale è occlusa, eccetera eccetera. Poi
mi chiede:

Ma perché non si è fatto accompagnare qua a Pesaro o ad Ancona?
Nelle prime ore avremmo potuto fare qualcosa. –
Non
le rispondo. Non ho proprio voglia di parlare.

Signor
Elio, quanto è rimasto ricoverato e quali sono le sue attuali
condizioni?

Sono
stato ricoverato presso l’Ospedale di Fano per una settimana. Il
danno causato dall’infarto che ho subito ha interessato il 60 per
cento della parte destra del cuore. Sto seguendo un regime alimentare
particolare e assumo 8 pastiglie al giorno. La pressione massima deve
mantenersi al di sotto dei 90 mm di mercurio, perché il cuore deve
lavorare al minimo, quindi mi trovo in un continuo stato di
debolezza, e inoltre faccio fatica a respirare.

Questa
sua “disavventura”, per usare un eufemismo, ha degli aspetti
preoccupanti, sia a livello medico, sia dal punto di vista umano.
Quali sono i provvedimenti che ha preso di conseguenza?

Prima
di tutto mi sono rivolto all’associazione “Articolo 32”, che fa
parte del Codacons e tutela il diritto alla salute dei cittadini. Mi
sono rivolto anche a voi di Fuoritempo per far conoscere ai vostri
lettori quello che credo sia un chiaro caso di malasanità, nel quale
si sono sommate le conseguenze di una certa disorganizzazione nella
gestione del soccorso a quelle di una cattiva comunicazione con il
paziente.