Il sistema previdenziale italiano
Da trent’anni c’è una corsa affannosa a far quadrare i conti del sistema previdenziale. Nel 2021, ultimo anno di cui si possiedono i dati, l’Inps ha incassato contributi per 208 miliardi e ha pagato pensioni per 238. Lo sbilancio è quindi di 30 miliardi a cui si aggiungono i 40 di spesa assistenziale anch’essa coperta dalla fiscalità generale, cioè dai cittadini che pagano le tasse.
Con diverse riforme in particolare quelle volute da Prodi, Amato, Dini, Maroni, Monti e Fornero si è cercato di contenere la spesa in prospettiva insostenibile viste anche le dinamiche demografiche. E lo si è fatto spostando in avanti l’età pensionabile e adeguandola alle aspettative di vita.
Altri però hanno remato in direzione opposta con trovate come “quota 100”.
Il bilancio di ciò che si è speso e le previsioni su ciò che dovremo per forza tagliare, in assenza di una robusta ripresa economica, si trovano nel “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano” a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e coordinato dal prof. Alberto Brambilla.
Nelle 230 pagine presentate la scorsa settimana ci sono molte cose che sul sistema previdenziale non sappiamo e altre che preferiremmo non sapere, come ad esempio il fatto che in Italia ci sono 399.686 pensionati che sono tali da oltre 40 anni. Persone che hanno versato contributi per una ventina d’anni e che poi si sono affidate all’Inps potendo contare sulla grande quantità di deroghe concesse all’età legale di pensionamento. Dice il professor Brambilla che in Italia non c’è stato e non c’è un occhio di riguardo per i giovani con i cui contributi vengono pagate pensioni, anticipazioni e precoci vitalizi.